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JOHN COLTRANE – WHEELIN' prestige 24069 2 LP 1977 IT

44,00

1 disponibili

Categoria:

Descrizione

JOHN COLTRANE
wheelin
featuring
PAUL QUICHETTE and MAL WALDRON

Disco Doppio 2 LP 33 giri , 1977, prestige records / fonit cetra, PRI 24069 , italia
ECCELLENTI CONDIZIONI, both vinyls ex++/NM , cover ex++/NM
 

Wheelin’ ( Wheelin’ & Dealin’) is a 1957 album by jazz musicians Mal Waldron, John Coltrane and Frank Wess.

It’s the fall of 1957, and John Coltrane finds himself in another
session with overtones of Kansas City, thanks to the inclusion of Basie
alumni Frank Wess and Paul Quinichette. WHEELIN’ & DEALIN’ reprises
the Mal Waldron/Art Taylor rhythm section (with Doug Watkins on bass
instead of Paul Chambers), only with a bit more bite and jet propulsion
than on Trane’s other Prestige all-star dates.

The chemistry between Coltrane, Wess and Quinichette makes WHEELIN’
& DEALIN’ a particular joy. Listen to the coquettish “Salt Peanuts”
vamp Trane and Quinichette introduce behind Wess’ percolating flute on
“Things Ain’t What They Used To Be,” and how modern Wess’ conception of
this instrument is (rarely has Wess gotten the credit he deserves for
his total command of the flute, and for popularizing it in a jazz
setting). Quinichette offers witty asides to “Stormy Weather” and Trane
answers the old master with steely trills, blues hollers and lines of
escalating complexity; Quinichette answers with another quote, this
time from “Undecided,” offering a perfect contrast between his own
classic lyricism and Trane’s post-modern rhythmic/harmonic mastery. In
their round-robin interplay on take 1 of “Wheelin'” Wess seems to split
the generational difference.

Illinois Jacquet’s classic big-band number “Robbin’s Nest” offers a
cool, laid back setting upon which to essay extended variations; Wess’
flute carries the main melodic thrust, as drummer Art Taylor and
Waldron provide sly accompaniment and interplay. Quinichette is up
next, and he attacks the theme and changes with taciturn splendor,
gradually building tension until he wanders off with bluesy swagger.
Trane answers with a magnificent solo, calmly outlining a harmonic
sketch of his intentions before vaulting into rhythmically daring
variations. The concluding “Dealin'” is a wily after-hours blues by
Waldron, who sets a perfect mood on his opening solo, followed by Wess’
piping blues phrases, Quinichette’s elegant pear tones and Trane’s
fervent testimony.

John William Coltrane (Hamlet23 settembre 1926 – New York17 luglio 1967) è stato un sassofonista statunitense.

Tra i più grandi sassofonisti della storia del jazz,
ha sicuramente lasciato un segno profondo nel tessuto di questa musica.
“Trane”, come fu anche soprannominato per il suo irruento fraseggiare,
è stato uno dei più importanti innovatori del jazz degli anni sessanta, ponendosi come cerniera tra la poetica del bebop e la rivoluzione del free jazz.

Il pensiero musicale di Coltrane, colto nelle diverse fasi della sua
evoluzione, ha creato folle di proseliti e di imitatori tutt’oggi
attivi sui più disparati palcoscenici del mondo. Il passaggio breve ma
intenso, di questo grande musicista, sulla scena del jazz ha marcato un
profondo discrimine tra la musica degli anni cinquanta e quella degli anni seguenti: in appena un secolo di storia, il jazz si è trasformato da musica popolare in musica colta.

  • Interprete: John Coltrane
  • Etichetta:  Prestige records
  • Catalogo: PRI 24069
  • Data di pubblicazione: 1977
  • Supporto:vinile 33 giri
  • Tipo audio: stereomono
  • Dimensioni: 30 cm.
  • Facciate: 4
  • Gatefold laminated cover / copertina apribile laminata , white paper inner sleeves

John Coltrane cds, vinyl records and albums
John Coltrane

Track listing

Wheelin’ (two takes)

Dealin’ (two takes)

Things Ain’t What They Used to Be

Robbins’ Nest

Blue Calypso

Falling in Love with Love


Line Up: 

Recorded September 20, 1957 in Hackensack, NJ.

Biografia

Gli inizi

Unico figlio di John Robert Coltrane, sarto e con l’hobby della musica (suonava l’ukulele e il violino) e di Alice Blair, fratello di Rosco Coltrane – il bieco sceriffo del telefilm dei primi anni 80 “Hazzard” – crebbe con la cugina Mary a High Point, raccogliendo margherite sui cigli dei canali di scolo e giocando sporadicamente alla merla. A dodici anni perse il padre, seguito da altri lutti familiari. A tredici anni entrò nella banda dei boy scout come clarinettista e al liceo iniziò a suonare anche il sax contralto.

Nel 1943 si diplomò e si trasferì in cerca di lavoro a Filadelfia, frequentando la “Omstein School Of Music”. Nel 1945 svolse il servizio militare alle Hawaii, come clarinettista della banda militare della Marina. Tornato a Philadelphia entrò nel gruppo di Joe Webb e quindi in quello di Eddie Vinson, passando al sax tenore e dedicandosi al rhythm and blues. Nel 1948 entrò a far parte dell’orchestra dell’Apollo Theatre di Harlem a New York. A Philadelphia suonò ancora con i fratelli Heath, con Cal Massey, con Howard McGhee e con l’orchestra di Dizzy Gillespie, in cui suonava il sax contralto. Nel 1951
l’orchestra si trasformò in un settetto e Coltrane passò nuovamente al
sax tenore: con questa formazione registrò il primo pezzo a Detroit il 1 marzo.

Nel 1952 entrò nel gruppo di Earl Bostic e nel 1953 iniziò ad avere problemi con il consumo di eroina, a causa della quale viene licenziato dal gruppo di Jonny Hodges.

Nel 1955 si sposò con Juanita Grubbs (Naima) e iniziò a collaborare con Miles Davis.

L’incontro con Miles Davis

Quando Rollins tornò a ritirarsi dalla scena, come faceva di tanto in tanto, Davis dovette trovare un sostituto. Philly Joe Jones
convinse Miles a chiamare Coltrane per un provino. Davis, all’inizio
non era entusiasta, perché aveva ascoltato Coltrane anni prima in una
sessione con Rollins che era stato nettamente superiore. Dopo il
provino, peró, ne fu impressionato. Coltrane sapeva tutti i brani,
teneva anche i tempi velocissimi, aveva un’esecuzione fluida,
armoniosa, senza intoppi.
Coltrane si comportò come sempre: sfruttò l’occasione di incontro con
un collega più esperto per fargli mille domande. Davis era un uomo che
guardava la realtà con occhio lucido, disincantato, talora cinico. Era
privo di autentica fede religiosa, in fondo anzi diffidava delle
religioni.

Nell’organizzare la sua musica non diceva nulla, non spiegava niente
a nessuno, manteneva il segreto sulle strutture, sulle soluzioni
armoniche, su tutto. Spesso dava le spalle al pubblico per inviare, non
visto, segnali gestuali ai suoi. Oppure sussurrava loro all’orecchio.
La musica di Davis si offre all’ascolto come un oggetto sonoro liscio,
perfetto, senza cuciture visibili, che non si può capire e smontare.
Coltrane, al contrario, aveva una visione del mondo intrisa di
irrazionale: divorava libri su qualunque argomento che non fosse
scientifico, e talora anche libri di scienza, che comunque leggeva come
se fossero libri sapienziali. Però in musica era concreto, pragmatico,
materialista: di ogni nota, accordo, progressione, voleva sapere che
cos’è, come si fa, come si chiama.
Non sorprende che i due, a prima vista, non si siano amati. Queste
incongruenze di carattere infastidirono tantissimo Coltrane, al punto
che decise di andarsene. Intanto il quintetto di Davis aveva firmato
impegni per l’autunno e Davis dovette quasi pregare Coltrane di
tornare. Il 26 ottobre 1955 il quintetto di Davis con Coltrane entrò in sala di incisione e incise per la Columbia quattro pezzi, “Ah-Leu-Cha” “Two Bass Hit”, “Little Melonae” e “Budo”, usciti poi sparsi in vari dischi. Essi aprono una serie aurea di incisioni per Columbia e Prestige Records effettuate nell’arco di un anno esatto: l’ultima è del 26 ottobre 1956. L’eleganza sembra essere la caratteristica principale di questo quintetto: tutto è liscio, piano, basso e batteria sono fusi in tutt’uno, il ritmo è elastico e incalzante, mai la minima sensazione di sforzo è avvertibile.
La sensazione di unità espressiva era dovuta sia alle ripetute prove
sia all’affiatamento. Ogni pezzo era arrangiato con cura, ma
l’arrangiamento è nascosto, spesso consiste di piccoli scintillanti
tocchi isolati: una nota, un accordo del piano, un frammento melodico
interpolato. Altri meccanismi sono più complessi, ma non meno nascosti
al pubblico. In brani come “If I Were A Bell” e “I Could Write A Book”,
i solisti possono allungare a piacere l’ultimo giro armonico, e
avvisano di ciò la ritmica usando come segnali d’avvertimento piccoli
frammenti del tema, nascosti nell’assolo. Per far questo occorrono
sicurezza e affiatamento assoluti. Una volta messi a punto e
interiorizzati i meccanismi, essi dovevano poi suonare tutto d’un
fiato, senza pensarci. Nelle sedute dell’11 maggio e del 26 ottobre 1956,
Davis fece suonare un’ora e mezza di musica di seguito, senza
rifacimenti, come fosse una serata in club. Ne uscirono ben quattro
dischi (Cookin‘, Relaxin‘, Workin e Steamin) di incantevole freschezza.
In queste registrazioni si può notare la cura di Coltrane
nell’esplorazione del giro armonico del brano: egli lo scavava, lo
esplorava, lo sviscerava con foga, quasi con accanimento. Nelle prime
incisioni il suo fraseggio è ancora tanto costruito con cura quanto
banale. L’assolo in “Budo”
è perfetto: mai una coda sciatta, una frase interrotta a mezz’aria. Una
simile perfezione colpì l’attenzione di Miles Davis che cercava proprio
questo. Il lungo assolo in “Oleo” è addirittura stupefacente:
una continua, ininterrotta ghirlanda di frasi. In realtà, però,
Coltrane aveva ben altro in mente: in un assolo come quello su “Woodyn’ You”,
specie là dove il pianoforte tace lasciandolo indisturbato nelle sue
ardite esplorazioni armoniche, egli non appare più intento a
intrecciare ghirlande. Nel suo solismo inizia a fare capolino una nota
lamentosa, sforzata, unghiuta, che contrasta in pieno con il solo di
Davis. I primi ascoltatori ne furono sorpresi, e si divisero. Alcuni
furono subito toccati dal timbro di Coltrane. Vi avvertivano una
tensione, un’ansia di esprimere, un grido interiore, che travalicavano

la corretta formalità delle frasi. Trasformatosi da quintetto in
sestetto, la band di Davis iniziò le sue sperimentazioni nell’ambito
dell’improvvisazione modale con l’album Milestones, del 1958 e toccò il culmine della sua lunga stagione con l’album Kind of Blue, inciso nel marzo del 1959.
In esso, Miles Davis compì un altro passo in avanti sulla strada
dell’improvvisazione modale. Per ottenere il massimo di spontaneità dai
suoi musicisti, li convocò senza preparazione, e nello studio mostrò
loro gli schemi dei pezzi con l’indicazione di semplici scale. Niente
accordi. Ne risultò una musica dalle forme e dalle linee purissime.
Uno dei cinque brani, So What, sarebbe entrato stabilmente nel grande repertorio del jazz, diventando la bandiera del movimento modale. “Blue In Green” è una ballade astratta. In “Flamenco Sketches”,
un pezzo in cui Davis sperimentò una struttura molto ardita, gli
esecutori ebbero solo l’indicazione di cinque scale, da suonare
nell’ordine, nient’altro. Il numero di battute è ad libitum, e non è
spiegato con quale criterio gli improvvisatori passassero da una scala
all’altra. L’assolo di Coltrane è di grande bellezza. C’è un attimo di
panico nel momento in cui egli insiste a improvvisare sulla quarta
scala (la scala flamenco) e rinvia il passaggio alla quinta scala, prendendo in contropiede Bill Evans. Queste strutture, di lunghezza variabile, furono impiegate da Coltrane nel successivo sviluppo della sua musica.

Giant Steps

All’inizio del 1959 Coltrane non aveva ancora un gruppo fisso. Ma in questo anno incise sette dischi, tra i quali Kind of Blue e Giant Steps.
Quest’ultimo album segna, per così dire, il punto di inizio della
ascesa musicale di John Coltrane. La formazione che entrò in sala di
registrazione al fianco del tenorista è la seguente: Tommy Flanagan al piano, Art Taylor alla batteria, Paul Chambers al basso. Il titolo Giant Steps
è a doppio senso. Coltrane allude non solo alle scoperte che va facendo
di giorno in giorno, ma anche ai paurosi salti che l’improvvisatore
deve affrontare di continuo durante l’esecuzione del brano omonimo.
L’assillo del bebop
è sempre stato quello di affrontare le difficoltà del giro armonico. La
difficoltà principale consiste nella modulazione da una tonalità all’altra: essa costringe il musicista a cambiare scala,
a cambiare la scelta delle note, cambiando all’istante il suo pensiero
musicale. Il salto più ostico è quello fra tonalità a distanza di terza maggiore: ad esempio Si e Re# (pensato enarmonicamente
come Mib), oppure Si e Sol, oppure Mib e Sol. Le tre tonalità maggiori
citate sono proprio quelle che si alternano in Giant Steps. Esse sono
alla stessa distanza tra loro, come i vertici di un triangolo equilatero.
Il giro armonico di Giant Steps passa di continuo, velocissimo,
dall’una all’altra sia in un senso (Si – Sol – Mi bemolle) che
nell’altro (Sol – Mi bemolle – Si), e l’improvvisatore non fa a tempo a
pensare in una tonalità che già deve passare all’altra, e poi all’altra
ancora.
Le tre tonalità sono collegate tra loro utilizzando le cadenze costruite sull’accordo
di settima di dominante. In questo modo il salto tra la tonalità di si
maggiore e quella di sol maggiore, che si trovano alla distanza di un intervallo
di sesta minore , è ridotto. Infatti dopo l’accordo di si maggiore, per
cadere in sol maggiore, viene usato l’accordo di re settima, cioè
l’accordo di settima di dominante che cade sull’accordo di sol
maggiore. Allo stesso modo, per passare dall’accordo di sol maggiore a
quello di mi bemolle maggiore bisogna passare all’accordo intermedio di
si bemolle settima, cadenza per il mi bemolle maggiore. In questo modo
si comprende che il “giant step” è quello che intercorre tra l’accordo
di si maggiore e quello di re settima, cadenza per il sol maggiore. Si
tratta di un intervallo armonico di terza minore: si maggiore – re
settima. A questo punto è comprensibile che il sistema usato da
Coltrane per costruire il proprio triangolo armonico deriva dalle
sostituzioni dei tritoni. Infatti il tipico turnaround
C – A-7 – D7 – G7 può essere sostituito così: C – Eb7 – Ab7 – Db7. Ciò
significa che l’intervallo armonico di terza minore era già usato.
Coltrane lo ha sviluppato nel modo descritto per collegare le tre
tonalità di si, mi bemolle e sol maggiore.

Il ciclo degli accordi di “Giant Steps” può anche essere pensato come un tournaround, o una modulazione.
Infatti questo giro armonico può essere utilizzato come sostituzione
del normale II-V-I. Ecco la spiegazione. Il tipico II-V-I (es: Re
minore – Sol settima – Do settima maggiore) viene così sostituito (due
accordi per misura): Re minore, Mi bemolle settima – La bemolle settima
maggiore, Si settima – Mi settima maggiore, Sol settima – Do settima
maggiore.

Il dato tecnico è tuttavia finalizzato al senso musicale e
filosofico dell’opera. Per Coltrane, la scoperta del triangolo Si – Sol
– Mi bemolle non poteva non avere un senso numerologico. Esso da questo momento fa capolino in molti altri brani, da “Countdown” a “But Not For Me”, a “Central Park West”, e perfino a “Body and Soul”. La magia del numero assume in Giant Steps forme ricorsive:
raffigura un Eterno Ritorno. Coltrane girando vorticosamente dentro
questo cerchio prende il volo, e porta a termine un capolavoro di
trionfante, inarrestabile forza ascensionale. Gli altri brani del disco
non sono molto inferiori. “Countdown” applica il triangolo di “Giant Steps” a un giro armonico (“Tune Up”
di Miles Davis), a una velocità ancora maggiore: sono due minuti di
materia sonora superdensa, che a causa di tale densità è un poco
meccanica, ma è nondimeno di formidabile impatto. Gli strumenti entrano
uno alla volta, batteria – sax – piano – basso; quando entra l’ultimo
si espone il tema, e il pezzo è finito. Negli altri brani, Coltrane fa
continuo uso di pedali, in maniera assai varia: in “Spiral” e nel tenero “Naima” un unico pedale al basso lega tra loro accordi diversi. “Naima”, con la sua melodia breve e commossa, divenne ben presto un classico del jazz.

Il quartetto storico

Nel 1960 Coltrane forma il suo primo quartetto: vi figurano il pianista McCoy Tyner ed il batterista Elvin Jones che, con il suo drumming
possente e l’innovativo approccio ritmico, influenzerà notevolmente la
musica del sassofonista. Elvin Jones non si limita a tenere lo swing ma
interagisce costantemente con il solista, fornendogli un tappeto
ritmico fitto ed incastrato, dal quale in ogni momento si possono
derivare spunti per l’improvvisazione.
A partire dal 1961, al posto del contrabbassista Reggie Workman, subentra Jimmy Garrison.
Fino a questo momento la maggiore preoccupazione di Coltrane era stata
quella di approfondire l’armonia e lo studio degli accordi. La sua
profonda smania perfezionista lo aveva condotto ad una assoluta
padronanza tecnico-armonica. I soli incisi con il gruppo di Miles
Davis, quali ad esempio Oleo, Straight no Chaser, come i contemporanei soli suonati su Moment’s Notice, Countdown, Giant Steps, rispecchiano la sua raggiunta perfezione.

Da qui in avanti Coltrane prende coscienza del significato da dare
alla propria musica ed inizia la ricerca delle radici e delle origini
del jazz, inteso anche come espressione musicale di un popolo, cui egli
sa di appartenere. Aspira all’universalità della propria musica, perché
ognuno possa comprendere il suo messaggio. Da questo momento Coltrane
cessa di essere solamente un formidabile solista e diventa un grande
musicista ed un importante innovatore.

Studia la musica modale suonata nel mondo: in Africa, in India, in Spagna, in Cina. Nascono brani come “Liberia”, “Venga” “Jaleo”, “India”, “Brasilia” etc. Inoltre, su incitamento di Miles Davis, intraprende lo studio del sax soprano con cui incide My Favorite Things (1960. In questo brano il pianista suona accordi ribattuti, creando un sound ipnotico. Su questo tappeto spicca il soprano di Coltrane somigliante in certi registri a un oboe, e spesso orientaleggiante, grazie all’impiego di certi intervalli cromatici come quelli contenuti nella scala
orientale. In altri momenti del solo, il sax riproduce sonorità
mistiche tipiche della musica indiana. L’entrata nel gruppo di Elvin
Jones, al posto di Billy Higgins,
fu decisiva. Infatti, uno degli aspetti più importanti del gruppo
consiste nell’affiatamento tra pianoforte e batteria, ed il loro
incontrarsi in determinati punti del brano in modo da creare cicli ritmici, simili a quelli della musica africana. Elvin Jones è considerato, per la sua concezione poliritmica, uno dei massimi batteristi del jazz.
Il disco successivo è Coltrane’s Sound (1960) in cui è eseguita una memorabile versione di Body and Soul,
arrangiata utilizzando un movimento cromatico ascendente e discendente
della tonica dell’accordo minore attraverso la settima prima maggiore e
poi minore. Altrettanto interessante è l’accompagnamento alternato tra
accordi per quarte e accordi con la quinta aumentata a distanza di
tono, che creano un’interessante tensione risolta poi sugli accordi
dell’inciso. Questi momenti di tensione e distensione sono stati il
tappeto ideale per Coltrane, che amava spesso suonare anche brani
tonali in maniera modale con lunghi pedali di tonica o dominante
sfocianti in un inciso ricco di aree tonali. Di questo contrasto si
avvalse chiaramente lo stesso McCoy Tyner (ad esempio, in “The night has a thousand eyes”)
dove le prime otto battute vengono suonate su un pedale di dominante ed
il resto degli accordi seguono le più classiche progressioni II–V- I.
Altro disco della stessa formazione è Coltrane plays the blues (1960). In questo album sono dedicati un blues a Sidney Bechet ed uno allo stesso Elvin Jones. In due brani, “Mr. Day” e “Mr. Sims”,
McCoy Tyner non suona. L’omissione del pianoforte della ritmica
abituale consente a Coltrane di creare una nuova dimensione di spazio,
di libertà armonica e melodica. Nel maggio del 1961 Coltrane incide Olé Coltrane, disco in cui si nota l’accostamento alla musica modale spagnola. In questa occasione, alla formazione di base, si aggiunsero Eric Dolphy al flauto e al sax contralto, e Freddie Hubbard alla tromba.

Impulse!

Sempre nel 1961, Coltrane cessa la sua collaborazione con
l’etichetta Atlantic e inizia a incidere per la casa discografica
Impulse!. Il primo disco della nuova casa discografica fu Africa Brass. Qui i brani sono tutti modali e la formazione è la stessa di Olè Coltrane, soltanto con l’aggiunta dell’orchestra. Un altro disco inciso per la Impulse! è Live at Village Vanguard del novembre 1961. Anche qui l’atmosfera dei brani è modale, soprattutto in “Spiritual”, dove ad Elvin Jones, Reggy Wolkman e McCoy Tyner, Coltrane affianca Eric Dolphy al clarinetto basso. Il disco comprende alcune registrazioni realizzate dal vivo nel mitico Village Vanguard. Dall’ascolto di queste si nota che i temi e gli arrangiamenti sono ridotti all’essenziale, e l’improvvisazione risulta dilatata al punto da durare anche quindici minuti. I brani del disco sono costruiti sulla forma blues,
oppure su uno o due accordi. Infatti, queste registrazioni rispecchiano
pienamente la concezione modale di Coltrane in quegli anni.
Dall’ascolto si può capire anche la differenza tra la musica dal vivo e
quella realizzata, da Coltrane, negli studi di registrazione. Nelle performance
in pubblico gli assoli vengono eseguiti con totale abbandono, senza
limiti di durata e, nonostante questo, non risultano di difficile
ascolto. Si crea un flusso di energia musicale che non si riscontra
nelle sedute in studio. In molti brani, registrati dal vivo, si nota
sia l’assenza del pianoforte che quella del contrabbasso, lasciando Coltrane in lunghi dialoghi con il batterista Elvin Jones. L’album successivo fu Impressions dell’aprile 1963, registrato, anch’esso, al Village Vanguard nei due anni precedenti. Risale, infatti, al novembre del 1961 “India”, che rappresenta una delle più importanti incisioni di Coltrane.
Il brano è costruito interamente su un pedale
di sol. McCoy Tyner non interviene quasi per nulla, dando spazio ai
virtuosismi orientaleggianti e ai sovracuti del sax soprano di
Coltrane. L’avvenimento più rilevante, in questo disco, è l’ingresso,
nel quartetto, del bassista Jimmy Garrison, che prende definitivamente il posto di Reggie Workman. Anche nel brano “Impressions”, a un certo punto, sia McCoy Tyner che Jimmy Garrison abbandonano lo strumento lasciando dialogare Coltrane con Elvin Jones.

A Love Supreme

Si racconta che nel 1964 Coltrane, che era solito praticare ogni sera la meditazione yoga,
durante una seduta sentì una musica nuova risuonare nella sua mente.
Tornato allo stato vigile, si convinse che non poteva che trattarsi di
un messaggio inviatogli da Dio. Coltrane meditò a lungo una nuova
opera, di cui volle curare anche la produzione. Fu lui a scegliere la
foto che lo ritrae, con espressione seria, sulla copertina. È una foto
in bianco e nero, cosi come in austero bianco e nero è pubblicato tutto
l’album. Fu ancora Coltrane a far stampare, all’interno, non le solite
note di copertina, bensì una sua breve presentazione e una sua poesia,
intitolata anch’essa A Love Supreme.
Nella presentazione Coltrane ringrazia Dio di averlo riportato sulla
retta via. Afferma di aver passato un periodo di incertezza, e di
averlo superato rimettendosi nelle Sue mani. Il disco è dunque un’umile
offerta a Lui, in segno di ringraziamento. La poesia è un testo
semplice, dogmatico e salmodiante, una dichiarazione di fede che, a
tratti, riecheggia le asserzioni e le risposte che intercorrono tra
predicatore e congregazione. L’opera è una suite in quattro parti. Esse
si intitolano: “Acknowledgement”, “Resolution”, “Pursuance” e “Psalm”.
A differenza degli altri dischi, contenenti brani ricavati da varie
sedute di incisione, questo album si risolve in un’opera a tutto tondo
che, impiegando l’intera durata del long playing, dà luogo a uno dei
primi concept album della musica moderna.
Il primo movimento si basa sulla continua ripetizione della cellula
elementare di quattro note Fa – La bemolle – Fa – Si bemolle. Il
carattere semplice e ripetitivo di “Acknowledgement” gli ha assicurato una vasta fama postuma nel mondo del rock, dove la leggenda di Coltrane si è diffusa, con ovvia accentuazione dei toni mistici, trovando proprio in quel riff
di quattro note un comodo appiglio acustico. Mentre gli schemi di base
dei quattro movimenti sono semplici, il contenuto delle improvvisazioni
non lo è. Dal suo lungo silenzio Coltrane esce con una sonorità strana,
nuova: più gonfia, vibrante ed enfatica. Di contro, il fraseggio è
scarno, asciutto. Vi compaiono, specie nei primi due tempi, alcuni
motivi di tre-quattro note, che l’autore trasporta, a suo piacimento,
su e giù, verso l’acuto e verso il grave, creando inattesi urti con
l’accompagnamento, che resta ancorato alla scala di base. È una tecnica
nuova, che utilizza tutte le tonalità descrivendo la “totalità” e la
grandezza di Dio, e che avrà importanti conseguenze. A Love Supreme è il capolavoro del periodo iniziato con My Favorite Things.
Servendosi del suo quartetto egli percorre un itinerario mistico, dalla contrizione di “Acknowledgement“, allo slancio lirico raffigurante la dolorosa decisione di cambiare (“Resolution“), alla forte, travolgente messa in pratica della decisione presa (“Pursuance“) fino alla preghiera di ringraziamento, quel metafisico “Psalm
in cui, alla fine, la voce del sax tenore si sdoppia per inatteso
effetto di una sovraincisione, e sembra ascendere in cielo
attraversando le suggestive nubi sonore prodotte dalle mazze felpate di
Elvin Jones.
L’album fu acclamato in modo quasi unanime, e divenne ben presto il disco jazz più venduto nel mondo. In esso fu vista la summa
di tutte le ricerche e gli approfondimenti compiuti da Coltrane negli
ultimi anni. Ciò che anche i più entusiasti sostenitori notarono, è che
con A Love Supreme si chiudeva un altro capitolo della vita artistica di Coltrane.

Il periodo “free” – Ascension

Già dal 1960, Ornette Coleman aveva gettato scompiglio con il suo free jazz, un jazz in apparenza libero da ogni regola, spesso atonale,
e comunque indigeribile non solo per il grande pubblico, ma anche per
molti jazzofili. Coleman fece scandalo, ma la sua rimase una presenza
quasi isolata. Anche Eric Dolphy
faceva a volte del free jazz e lo stesso Coltrane, in certi momenti, ci
era andato vicino. In seguito il free jazz esplose come movimento
robusto e vitale e Coltrane si schierò con convinto entusiasmo dalla
parte di questi innovatori.
Coltrane, nonostante le aspre critiche verso questa forma estrema di
jazz, buttò sulla bilancia tutto il suo prestigio, affermando l’alto
valore di quella musica, apparendo insieme ai suoi praticanti ed
incidendo con loro. Per due anni, essa fu documentata in buona parte da
una grande etichetta come la Impulse!, che su consiglio di Coltrane
scritturò sia Archie Shepp sia Albert Ayler.
Il 28 giugno 1965 fu una data storica. Quel giorno Trane radunò in studio, oltre a Tyner, Garrison e Jones, due trombettisti (Freddie Hubbard e Dewey Johnson), due sassofonisti tenore (Pharoah Sanders e Archie Shepp), due contraltisti (John Tchicai e Marion Brown) e un secondo bassista (Art Davis).
Ascension verrà incisa in due versioni. Per la pubblicazione ne
fu scelta una, comunemente definita “Edition I”, ma anche alcune copie
dell’altra andranno in circolazione, diventando rarità da collezionisti
e consentendo illuminanti confronti. Il piano strutturale del lavoro è
semplice: vi è un assolo per ciascuno dei fiati, uno per Tyner e uno
per i due bassisti. Tra gli assolo sono interpolati squarci di improvvisazione
collettiva di tutti gli undici musicisti. Questa germina all’inizio da
un motivo di tre note, e ben presto si anima, si scalda, specie sotto
l’impulso di Coltrane, di Shepp e di Sanders, un tenorista dai suoni
violentissimi ed estremi. In breve la musica ribolle di melodie, di
scale, di grida, di lamenti, di fischi: una allucinante visione
infernale, di fuoco e fiamme, che costituisce in certo senso
l’antimondo di A Love Supreme.
Durante l’incisione, perfino i presenti in studio non poterono
trattenersi dall’urlare. Lo stesso assolo iniziale di Coltrane non può
essere definito altro che un lungo, straziante urlo modulato. I vari
solisti apportano naturalmente il contributo dei loro diversissimi
stili. L’assolo di John Tchicai, al sax alto, è freddo, tenue e
pigolante; quello di Shepp torvo e minaccioso, costruito con uno
studiato crescendo da attore; quello di Tyner è martellante e oceanico;
quello di Sanders sembra voler far esplodere il sassofono in mille
schegge roventi.
Con “Ascension”, il free jazz ebbe nuovamente una sua opera manifesto:
un’opera che spaventò i più, ma che rivelò comunque una forza tale da
esercitare una straordinaria fascinazione anche su molti ascoltatori
restii o dubbiosi, e un poderoso effetto trascinante su tutto il
movimento free.

Meditations

A luglio dello stesso anno (1965),
Coltrane effettuò l’ennesima apparizione europea. Suonò in quartetto,
ma ormai la sua musica aveva raggiunto l’incandescenza con qualunque
organico. Il pubblico del festival di Juan-les-Pins
lo ascoltò con stupore suonare una musica ormai molto lontana da quella
che aveva conquistato il mondo solo tre o quattro anni prima. Ma Trane
non smise di andare avanti, e tornato negli Usa riprese un ritmo
produttivo forsennato. Il 26 agosto incise l’album Sun Ship, sorta di cartone preparatorio per un’opera più compiuta, Meditations.
Questa fu da lui incisa per la prima volta il 2 settembre, in
quartetto; ma il risultato non lo soddisfece, e rimase a lungo inedito.
In queste opere Coltrane sperimenta nuove tecniche di organizzazione
della sua musica. Nella prima versione di Meditations, egli esegue il brano “Love” più o meno come un improvvisatore indiano effettua la cosiddetta “presentazione” di un raga. Gli accompagnatori suonano una scala
e Coltrane ripete un frammento melodico percorrendo questa scala in su
e in giù. Il risultato è suggestivo ma monocorde, e Coltrane accantonò
l’idea per riprenderla più avanti. In altri brani, come “Sun Ship”, “Joy” o “Consequences”,
Coltrane parte da una scheggia tematica di una o due note, e aggiunge
via via una nota alla volta, conquistando man mano lo spazio sonoro
intorno a sé.
Tra l’1 e il 14 di ottobre Coltrane, con il gruppo allargato a Pharoa Sanders e ad altri ospiti, incise tre opere di grande rilievo: Om, Kulu Sé MaMa e “Selflessness”.
Om è un’opera cardinale, in quanto Coltrane vi osa un gesto di
portata storica incalcolabile: egli abbandona la sua fedeltà alla
tavolozza timbrica tradizionale del jazz, immettendo nella sua musica
ampi squarci di suoni non jazz. Coltrane (affiancato da Sanders, Tyner,
Garrison, Garrett, Elvin Jones ed il flautista Joe Brazil) ci offre un
caleidoscopico brano free-form dalla durata di soli 28 minuti , un’
esperienza sonora mistica, fortemente evocativa, assai più difficile da
digerire rispetto al più conosciuto “Interstellar Space”. È evidente
come Coltrane si accosti con questo lavoro sempre più ai suoni della
musica etnica africana ed orientale, abbracciando così una visione
musicale volutamente etnico-ascetica e multidimensionale. La jam si
snocciola insistente su cacofonie, echi e dissonanze furiose e la
leggenda narra insistentemente che Coltrane avesse fatto uso di LSD
durante le sedute di registrazione. Già l’inizio trasporta subito
l’ascoltatore in un’Africa immaginaria: si ascoltano percussioni varie, e sopra di esse una mbira, il piccolo strumento africano a lamelle pizzicate con i pollici. Segue una salmodia recitata dai musicisti, che si conclude sulla parola om, la quale da vita a un free collettivo. Nel disco è presente anche un flauto (Joe Brazil),
che però emette suoni arcani e arcaici, non-europei. Qui Coltrane non
si esibisce più in smoking con il suo elegante quartetto, che suona
canzoni di Richard Rodgers, con scale modali, accordi, ritmi
precisi, ma getta in faccia all’ascoltatore brandelli di materia sonora
viva, cruda. L’atmosfera è religiosa, sciamanistica, frenetica,
misterica, quasi da messa nera. Il disco, oggi, appare nel suo
complesso come uno dei lasciti di jazz psychedelico più significativi
ed interessanti di sempre, al pari solo di “Bitches Brew” di Miles
Davis (ed è ancora ingiustamente sottovalutato e poco considerato
all’interno di tutta la vasta discografia coltraniana). ‘OM’ si
potrebbbe anche accostare al mitico lp dei Red Crayola “The Parable Of
Arable Land” (registrato sempre in quell’anno), caposaldo di free-form
music ancorato però ad una realtà e visione culturale che è quella del
freak-rock americano. In Kulu Sé MaMa irrompe in scena un poeta, cantore e suonatore di tamburo, Juno Lewis, intorno alla cui poesia, cantata nel dialetto afro-creolo detto Entobes, si muove il resto del gruppo, facendogli sontuosa corona. “Selflessness” è, al confronto, un’opera tradizionale: gli esecutori sono gli stessi di Kulu Sé MaMa, ma il centro e la virtù delle cose sono i due sassofoni e il clarinetto basso,
impegnati in un continuo dialogo spalla a spalla, dapprima fluido e
ruscellante, poi sempre più rabbioso. L’annata si chiude, il 23
novembre, con la registrazione del nuovo, e stavolta definitivo, Meditations. La differenza sta nel fatto che oltre a Sanders, Coltrane ha aggiunto un secondo batterista, Rashied Ali, che suona in modo totalmente libero: sommato ad Elvin Jones, ne viene fuori un uragano percussivo. L’idea strutturale di base del vecchio Meditations
viene mantenuta, ma con una cruciale differenza: vi è sempre una scala
di base, e Coltrane che suona un frammento melodico di questa scala,
trasportandolo su e giù.
Ma stavolta non lo trasporta sulle note della scala, bensì suonando
altre scale. Questo procedimento, che in nuce avevamo scorto in A Love Supreme, deflagra qui in tutta la sua carica dirompente: quella musica che era monocorde e prevedibile ora sprizza urti dissonanti
tra le diverse scale. I musicisti si muovono in uno spazio in cui tutte
le note sono più o meno costantemente presenti, e in cui tutto si può
suonare. Coltrane inoltre ha eliminato uno dei cinque brani, “Joy”, e l’ha sostituito — cambiando un po’ la successione — con il nuovo brano “The Father And The Son And The Holy Ghost”, collocato in apertura. L’ignaro ascoltatore che metteva la puntina
all’inizio del disco fa un salto: le due batterie scatenano il
pandemonio, e Sanders emette di continuo uno stridente suono multiplo.
È un paesaggio sonoro inaudito, mai immaginato da mente umana. Su di
esso Coltrane espone la cellula tematica che poi trasporterà su e giù.
Segue senza interruzione “Compassion”, un’oasi dai contorni più rilassanti e familiari, in cui McCoy Tyner dà vita a uno dei suoi grandiosi assolo.
Il lato B reca, pure di seguito, “Love”, “Consequences” e “Serenity”:
due brani recitativi che ne incorniciano uno esplosivo, pieno di
schegge sonore, in cui è alla ribalta Sanders. Nell’insieme, l’impianto
strutturale comune a tutti i brani dona all’intero Lp
una ferrea coerenza interna, rendendo accettabili, e anzi del tutto
logici, i suoi continui capovolgimenti dalla violenza alla dolcezza e
viceversa. Da un materiale noioso e inerte, Coltrane ha ricavato un
nuovo, visionario capolavoro. La sua sintassi rivoluzionaria segna
tuttavia il punto di rottura per McCoy Tyner, che non riesce a seguire
l’evoluzione di Trane. Elvin Jones farà altrettanto tre mesi dopo, dichiarando: «Possono capirlo solo i poeti».
Ora con lui erano Sanders, Alice McLeod al piano, Jimmy Garrison e Rashied Ali.
La sua musica era ormai stabilmente priva di pulsazione ritmica,
fluttuante nell’aria: e gli ascoltatori erano perplessi circa la
pianista, che certo non valeva Tyner. Ma Alice faceva senza problemi
ciò che Coltrane voleva: e Coltrane voleva sentire di continuo un
sottofondo come di arpa.
Non soltanto i critici ma anche gli ascoltatori erano dubbiosi. Per
Coltrane, il rapporto con il pubblico era vitale, non lo si poteva
troncare impunemente. Egli sentiva di correre questo rischio, e ne era
angosciato.
Un’altra volta confessò che essere acusticamente abituato alla propria
musica era per lui un problema. Avrebbe voluto percepirla come un
profano che la sentisse per la prima volta. Lacerato tra il richiamo
dell’ignoto e il richiamo della tradizione, in maggio (1966) Coltrane incise un nuovo disco dal vivo al Village Vanguard (Live At The Village Vanguard Again!), come nel 1961. I due lunghi pezzi pubblicati furono due improvvisazioni realizzate dal gruppo nel suo stile attuale; ma i temi erano “Naima” e “My Favorite Things”.
Nel corso dell’anno Coltrane poté finalmente regolarizzare il suo stato
civile. Lo Stato di New York aveva approvato una legge in base alla
quale era possibile chiedere il divorzio
non più solo per adulterio ma anche per altre cause, come la
separazione di fatto. Coltrane ottenne quindi il divorzio da Naima, e
sposò Alice McLeod. Coltrane diradò le sue esibizioni, restando spesso
a casa a meditare sui suoi argomenti prediletti — la morte, la teoria
della relatività e l’universo in espansione, la numerologia
— e a elaborare le sue teorie sui rapporti tra suono e numero. Egli
appariva ossessionato dal bisogno di raggiungere una verità ultima,
sostanziale, assoluta: il nocciolo della verità, la crux, come amava dire. Nel mezzo di questo strano periodo di attività più che altro mentale, giunse la proposta di una tournée in Giappone.
Era un paese che Coltrane era ben felice di visitare, visto il suo
interesse per l’Oriente, e dove era molto amato. In realtà ci fu ben
poco da visitare: il carnet di viaggio era micidiale. Dall’8 al 24
luglio più di un concerto al giorno. L’accoglienza fu principesca. I
giapponesi lo aspettarono all’aeroporto con cartelli inneggiami.
Ovunque vi erano manifesti suoi, tappeti rossi, limousine, scolarette
con mazzi di fiori. Coltrane li ripagò con concerti lunghissimi, in cui
come sempre si spremette fino in fondo; in repertorio pochi brani, tra
cui una splendida composizione nuova, un’invocazione struggente, “Peace On Earth”.

La fine

Oltre ai concerti vi erano poi continue conferenze stampa. Le foto
che furono scattate in quei giorni lo ritraggono molto ingrassato, e,
in circa metà di esse, con una mano sul fegato. A pochi confessò la sua
sofferenza. Aveva mal di testa continui, e sempre più forti. Tornato
dal Giappone, ingoiava aspirina in dosi inquietanti. George Wein gli
propose una tournée in Europa. Rifiutò: non sto bene, disse, non me la
sento. Wein gli offrì di rinviare la data a suo piacimento. Ma Coltrane
non voleva partire affatto. In realtà, diversi fattori stavano ormai
congiurando contro la sua salute. Gli anni dell’eroina
avevano provocato guasti terribili. Coltrane avrebbe dovuto curarsi con
regolarità ma aveva un irrazionale terrore dei medici; non faceva
neppure controlli. La sua paura per i medici era di fatto sfiducia
nella scienza. La frequentazione delle filosofie orientali
doveva averlo indotto in uno stato di passiva accettazione del destino,
ivi inclusa la morte. Da tempo si era convinto di dover morire presto,
e della morte parlava spesso, con chiunque. Egli affrontò quindi il
destino senza opporvisi, senza curarsi. Da un altro lato, la certezza
della morte imminente lo indusse ad andare avanti nella sua ricerca
artistica senza più remore. Come in una folle corsa verso la fine di
tutto. A Ravi Shankar,
per telefono, Coltrane apparve triste e frustrato: cercava qualcosa di
nuovo, ma non sapeva cosa. Il 26 dicembre 1966 diede un concerto al
Village Theater di New York con Algie DeWitt, suonatore di baia (un tamburo a clessidra usato nei culti vooudoo), Ornar Ali alla conga,
il trombettista John Salgalo e il bassista Sonny Johnson, più il suo
quintetto. Questo ensemble stranamente assortito non ha lasciato
dischi; ma testimoni hanno raccontato che la musica era di un’intensità
selvaggia e soverchiante.
Nel 1967, tra febbraio e marzo, registrò il materiale confluito poi negli album Expression e Interstellar Space.
Il primo disco è in quartetto, e fu l’ultimo alla cui uscita egli
attese personalmente; fu pubblicato poco dopo la sua morte. Esso
contiene una musica ancora nuova e diversa, di sublime bellezza, in cui
tutte le ricerche, le inquietudini, i conflitti, le violenze che
segnano l’intera sua opera sembrano conciliarsi sotto il segno di una
ritrovata serenità. L’iniziale, brevissimo “Ogunde Varere” è un commosso addio alla vita: sopra i fluttuanti arpeggi
del pianoforte, Coltrane intona una lirica melodia, che suona del tutto
originale, diversa da qualsiasi altra melodia antica o moderna, e al
tempo stesso profondamente familiare. Essa infatti nasconde una
struttura di blues. “Offering” ed “Expression”
sono pagine analoghe, più ampie, che attraversano tratti convulsi, ma
che alla fine planano di nuovo nella stessa atmosfera di pace
ultraterrena. A parte va considerato il brano più lungo dell’album, “To Be”. In esso Coltrane suona il flauto che era appartenuto a Eric Dolphy, e Sanders lo affianca all’ottavino. A quattro pianetiMarte, Venere, Giove, Saturno — sono per l’appunto intitolati i quattro brani dell’altro album, Interstellar Space, uscito nei primi anni Settanta. Dal punto di vista strutturale, la musica è simile a quella di Expression: in ambedue si ritrovano tra l’altro le procedure già descritte per Meditations, in particolare il trasporto di brevi motivi su scale
diverse. Il carattere è però tutt’altro: Coltrane, al sax tenore,
dialoga con Rashied Ali, e la presenza dell’incendiario batterista si
trasforma in occasione di estenuante sfida. Lascia allibiti lo
stoicismo di Coltrane, che si sottopose a simili sforzi nelle
condizioni in cui era. Il linguaggio rotolante, inarrestabile come una
lingua di colata lavica, che si ascolta nei concitati assolo degli
album precedenti qui appare denudato, messo allo scoperto, e mostra una
così rigorosa logica architettonica da reggere l’ascolto da solo. In
quei vertiginosi giochi di scale su scale, che innervosirono gli
ascoltatori già nei concerti del 1960, sono in realtà applicate ferree
regole di combinazione,permutazione,
trasporto di centro tonale e di modo. Chi riesca ad afferrarne i motivi
e gli sviluppi trova in questa musica una ricchezza esaltante,
inesauribile, unita a squarci di purissima poesia, come nel delicato “Venus” o nel tracotante “Jupiter”. L’ultima seduta di incisione si tenne il 17 marzo. Si registrò un solo brano, “Expression”, probabilmente perché Alice era in gravidanza avanzata. Due giorni dopo nasceva il terzo figlio della coppia, Oran.
Il 23 aprile Coltrane apparve con il quintetto al Centro di Cultura Africana fondato da Olatunji a Harlem.
La struttura era appena nata, su progetto di Olatunji e altri, incluso
Coltrane, che la sostenne finanziariamente con generosità. Suonò,
dicono, bene come sempre, e a lungo come sempre. Un solo particolare
tradisce le sue reali condizioni: suona seduto. Ciò nonostante, in
quello stesso aprile Trane rinnovò il contratto con la Impulse! per due
anni. A maggio, andò a visitare sua madre a Philadelphia, insieme ad
Alice, quando ebbe un’improvvisa fitta allo stomaco. Piegato in due, si
chiuse in camera sua, rifiutando ogni cura. Ne usci poco dopo: non
riconosceva più sua madre e sua moglie. Tornarono a casa subito. Alice
gli fissò una visita. Ci andò, stavolta. Lo ricoverarono per una biopsia, ma rifiutò di protrarre la degenza e telefonò ad Alice e si fece portar via.
La domenica fu di nuovo ricoverato d’urgenza all’ospedale Huntington.
Morì alle quattro del mattino di lunedì 17 luglio 1967, stroncato da un
tumore al fegato.

Lo stile 

Approccio tecnico al sax tenore

I primi tratti caratteristici dello stile di Coltrane furono fissati
al tempo in cui suonava al Five Spot Café . In quel periodo egli mise a
punto la tecnica detta “Sheets of sound”. I suoi soli si
componevano di frasi lunghe e veloci, suonate in sedicesimi (semicrome)
o in trentaduesimi (biscrome), in modo da fondere fra loro le note, in
un continuo glissando. Questo modo di suonare era del tutto nuovo. A differenza di Charlie Parker, Coltrane usava le frasi di sedicesimi per conferire al brano più fluidità e, come si vedrà, un particolare senso ritmico.
Nello stesso periodo Coltrane venne spinto da Thelonious Monk a esplorare nuove sonorità. In particolare egli cercava il modo di ottenere, dal sax tenore, due o tre suoni contemporanei. Un chiaro esempio di questa tecnica si può trovare nel brano “Harmonique”. Questa tecnica incuriosì anche il celebre Sonny Rollins.
Suonando con Monk, Coltrane apprese il modo di esplorare tutte le possibilità improvvisative
del brano, impegnandosi così in lunghi soli, durante i quali usava
particolari suoni, rumori, fischi, grugniti. È importante sottolineare
come tutto ciò fosse già presente nel sound del rhythm and blues.

Coltrane, tuttavia, si servì di queste tecniche, non in senso
meramente virtuosistico, ma per chiare finalità musicali. Egli inoltre
allargò le risorse tecniche del sax tenore, mediante le estensioni,
l’utilizzo dei registri estremi, timbriche particolari, diteggiature
alternative utilizzate per il loro effetto sonoro, armonici,
differenti modi di alterare il suono con l’intensità del fiato.
Coltrane fu il primo ad esplorare i suoni del sax soprano. Egli ottenne
da questo strumento un sound sinuoso e serpentino. La grana del suono
del sax soprano può definirsi scarna e funzionale al senso religioso
della musica di Coltrane. La musica creata con questo strumento è fatta
di melodie sinuose ed eteree, di carattere mistico. Basti ascoltare la
celebre esecuzione di “My favorite things”, contenuta nell’album omonimo.

Lo stile armonico e ritmico 

L’approccio tecnico armonico
della stile coltraniano è vario e complesso. Il suo modo di suonare
andò perfezionandosi durante il periodo in cui egli approfondiva il bebop. Alla fine di questo apprendistato la musica di Coltrane aveva un alto grado di complessità.
Durante il periodo tonale,
corrispondente al periodo dello hard bop, Coltrane giunse a
padroneggiare qualsiasi tipo di situazione armonica, fino ad introdurre
proprie soluzioni. Tipico esempio di quanto detto sono i Coltrane changes. La riarmonizzazione
istantanea dei brani era una caratteristica degli hard-boppers, ma la
complessità dell’approccio di Coltrane va oltre questo discorso.
Innanzitutto egli approfondì l’uso delle scale,
utilizzando, in aggiunta alle scale tipiche del bebop, scale indiane,
orientali, pentatoniche, etc. Ciò contribuì non solo ad allargare il
sound ma a fornire al solista maggiori possibilità di esplorazione
armonica. Questo approccio imponeva inoltre il superamento dei vecchi
cliché del bebop. Inoltre Coltrane contribuì anche al rinnovamento
ritmico dell’improvvisazione.
Durante il periodo modale, che va dal 1961 al 1965, anno in cui fu pubblicato A Love Supreme, Coltrane improvvisa utilizzando i modi delle scale di riferimento piuttosto che gli accordi. Egli si impegna anche in una rilettura del blues in senso modale o orizzontale. La Atlantics pubblicò nel 1962 l’album Coltrane Plays the Blues. Nel 1963 uscì l’album Ballads
dove, nonostante il senso tonale della composizioni, il fatto che gli
accordi si succedano in tempo lento consente un approccio modale
dell’esecuzione.
In questo stesso periodo Coltrane modifica anche l’utilizzo delle scale
preferendo le esatonali e le pentatoniche. Infine si sente l’utilizzo
delle costruzioni per quarte, che sarà poi sviluppato durante il successivo periodo sperimentale, basti pensare al brano “Aknowledgment” di A Love Supreme.
Il modo di suonare di John Coltrane viene spesso definito
imprevedibile. Questa caratteristica è invero il risultato
dell’introduzione, nel fraseggio melodico, di figure musicali
asimmetriche come le settimine, le nonine, le tredicimine e via
dicendo. Inoltre, nel fraseggio, Coltrane intercalava anche le pause.
In particolare, egli scoprì che poteva dividere le battute anche in
numeri dispari di note. Di norma, un jazzista divide una battuta di 4/4
in otto note (crome). Coltrane, sistematizzando una pratica già
saggiata da Charlie Parker e Dizzy Gillespie,
prese l’abitudine di dividere la battuta in sedici note (semicrome),

eseguendo così fiotti continui e mobilissimi, dall’acuto al grave all’
acuto, di note molto brevi. Poi iniziò a dividere la battuta non nei
soliti multipli di due, ma in multipli di tre (terzine), e poi di
cinque (quintine), e di sette.
Eseguendo questi gruppi irrazionali, il fraseggio non suonava più come
se fosse inchiodato al tempo di base, ma fluttuava al di sopra di esso,
in modo apparentemente libero. Coltrane si rese anche conto che gruppi
irregolari di cinque non hanno lo stesso effetto di gruppi di sette e
che tutti questi gruppi irrazionali di note potevano essere mescolati.
Ne risultava una esecuzione spigolosa, spezzata e quindi assolutamente
innovativa. I tempi preferiti da Coltrane sono stati il 4/4, il 3/4 ,
il 6/8. Tuttavia il suo approccio ritmico subì l’influenza del drumming di Elvin Jones, caratterizzato dall’uso delle poliritmie.

Dopo Coltrane

Ebbe grande influenza sia sul sax tenore che sul sax soprano per i sassofonisti dagli anni 1970, nonostante alcune critiche negative. Lo stile di Coltrane nella sua prima fase, precedente al 1964, influenzò Wayne Shorter, Joe Henderson ed anche Steve Grossman e Davie Liebman, che avevano suonato nel gruppo di Elvin Jones. Per la sua fase free jazz suonò spesso insieme ad Archie Shepp e il suo erede dopo la sua scomparsa fu Pharoah Sanders. Sanders partecipò insieme a McCoy Tyner e Roy Haynes al disco “A Tributo to John Coltrane – Blues For Coltrane”, prodotto da Impulse !.

Tra i sassofonisti che furono da lui influenzati ci sono ancora Jerry Bergonzi, Joe Lovano, Bob Berg, Joshua Redman, il figlio Ravi Coltrane, Michael Brecker e Branford Marsalis.

Sono stati influenzati dal suo stile anche il pianista McCoy Tyner e il batterista Elvin Jones,
che avevano fatto parte del suo gruppo e ne avevano assimilato gli
elementi musicali orientali e africani, e che nella loro carriera come
solisti hanno ripreso spesso il suo repertorio.

Tra le composizioni di Coltrane, una delle più eseguite è “Giant Steps“, che è stata interpretata da musicisti come Jaco Pastorius e Pat Metheny.

L’importanza di Trane è stigmatizzata dalle seguenti parole di Red Garland:

« Sì,
ricordo la registrazione di Invitation, come, del resto, ricordo tutte
le altre effettuate con Trane. Come non potrei? Neppure Miles Davis
potrebbe dimenticare ogni istante in cui ha soffiato accanto a quel
colosso. Stare accanto a Coltrane è stato più che un’esperienza
impagabile. Lui iniziava a soffiare e ognuno di noi veniva
immediatamente catturato nella sua rete. Non potevi più uscirne fuori.
Ma, per il vero, nessuno di noi ha mai tentato di uscirne. Era
ammaliato, stregato, plasmato, annientato dalla sua musica, dalle note
che quel sassofono
sfornava a getto continuo, senza tregua, senza remissione. Note
incandescenti che avrebbero potuto anche ustionarti. E tutte con un
preciso significato. Trane non ha mai fatto nulla in cui non credesse
fortemente e che non sentisse intensamente. Era un sincero, un
passionale. Si è distrutto suonando troppo. La creatività, che aveva
dentro e non gli dava tregua, lo ha fatto morire. “Invitation”? Che dire. C’è tutto Trane in quel lunghissimo assolo. Tutta la sua arte, il suo cuore, la sua umanità. Dopo Parker
è arrivato Trane. Poi, quando anche lui è scomparso, è rimasto il
deserto. Arriverà un altro messia? All’orizzonte non appare nessuno. »

La voce di Coltrane

« Il
jazz, se si vuole chiamarlo così, è un’espressione musicale; e questa
musica è per me espressione degli ideali più alti. C’è dunque bisogno
di fratellanza, e credo che con la fratellanza non ci sarebbe povertà.
E con la fratellanza non ci sarebbe nemmeno la guerra. »
(Riportato in Black Nationalism And The Revolution In Music, di Frank Kofsky, Pathfinder press, 1970)
« Sul
contralto ero stato totalmente influenzato da Bird e mi sentivo sempre
inadeguato. Ma sul tenore non c’era nessuno le cui idee fossero così
dominanti come quelle di Parker. Tuttavia ho preso qualcosa da tutti
quelli che ho ascoltato in quell’epoca, a cominciare da Lester Young,
ma tenendo conto anche di musicisti che non hanno mai registrato un
disco. »
(Riportato in John Coltrane – con il blues nell’anima di Alberto Rodriquez, in Musica Jazz, novembre 1981)
« Quando
suonavo con Dizzy non ero cosciente dei miei mezzi. Suonavo secondo dei
cliché e cercavo di imparare i pezzi più famosi, così potevo suonare
insieme ad altri musicisti. »
(Da Trane On The Track di Ira Gitler. Intervista rilasciata il 16 ottobre 1958 e ripubblicata su Down Beat, luglio 1999))
« Vedete,
io ho vissuto per molto tempo nell’oscurità perché mi accontentavo di
suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci
qualcosa di mio… Credo che sia stato con Miles Davis, nel 1955, che ho
cominciato a rendermi conto che avrei potuto fare qualcosa di più. »
(Da John Coltrane: C’est chez
Miles Davis, en 1955, que j’ai commencè à prendre conscience de ce que
je pouvais faire d’autre, di Francois Postif, gennaio 1962.
)
« Il
lavoro con Monk mi portò vicino a un architetto musicale di primissimo
ordine. Ogni giorno imparavo da lui qualche cosa per mezzo dei sensi
oltre che teoricamente e tecnicamente. Parlavo con Monk di problemi
musicali e lui si metteva al piano e mi mostrava le risposte suonando.
Io lo guardavo suonare e scoprivo ciò che volevo sapere. E così
imparavo anche un sacco di cose per me del tutto nuove.. »
(Da Coltrane On Coltrane, di
John Coltrane in collaborazione con Don Demicheal, in Down Beat, 29
settembre 1960.Riportato da Ira Gitler nelle note di copertina
dell’album Thelonious Monk With John Coltrane
)
« Durante
l’anno 1957 sperimentai, per grazia di dio, un risveglio spirituale che
doveva condurmi ad una vita più ricca, più piena, più produttiva. A
quel tempo, per gratitudine, chiesi umilmente che mi venissero concessi
i mezzi ed il privilegio di rendere felici gli altri attraverso la
musica. Sento che ciò mi è stato accordato per Sua grazia. Ogni lode a
Dio. »
(Dalle note di copertina scritte da John Coltrane per l’album A Love Supreme)
« Sono
molto felice di poter dedicare tutto il mio tempo alla musica, e sono
contento di essere uno di coloro che si sforzano maggiormente di
crescere come musicista. Considerando la grande tradizione musicale che
abbiamo alle spalle, il lavoro di tanti giganti del passato, del
presente, e le promesse di tanti altri che stanno maturando, sento che
ci sono tutti i motivi per guardare al futuro con ottimismo. »
(Da Coltrane On Coltrane, di John Coltrane collaborazione con Don Demicheal, in Down Beat, 29 settembre 1960)
« Il
mio compito di musicista è trasformare gli schemi tradizionali del
jazz, rinnovarli e soprattutto migliorarli. In questo senso la musica
può essere un mezzo capace di cambiare le idee della gente. »
(Riportato in John Coltrane – Con il blues nell’anima di Alberto Rodriguez, in Musica Jazz, dicembre 1981)
« L’unica rabbia che posso provare è verso di me, quando non riesco a suonare quello che voglio. »
(Dalle note di copertina dell’album Coltrane’s Sound)
« Prima
dell’arrivo di Dolphy nel gruppo mi sentivo a mio agio con un
quartetto. Ma quando Eric si è unito a noi, è stato come se la nostra
famiglia si fosse arricchita di un nuovo membro. Egli aveva trovato un
altro modo di esprimere quelle cose per le quali fino a quel momento
noi eravamo riusciti a trovare solo una maniera per esprimerle. Dopo
che entrò a far parte della formazione, Dolphy ha ampliato le nostre
possibilità e le nostre ambizioni: ha avuto su di noi un effetto
estremamente positivo. »
(Dalle note di copertina dell’album Duke Ellington e John Coltrane)
« Sono
molto onorato di avere avuto l’opportunità di suonare con Duke
Ellington. È stata un’esperienza meravigliosa. Lui aveva posto dei
limiti che all’inizio io non avevo colto. Mi sarebbe piaciuto lavorare
su altri pezzi, ma poi sono arrivato alla conclusione che difficilmente
avremmo potuto suonare con la stessa spontaneità con cui avevamo
suonato sino a quel momento. »
(Dalle note di copertina dell’album Duke Ellington e John Coltrane)
« Ciò
che mi attrae di Ravi Shankar è l’ aspetto modale della sua musica. Per
un certo periodo, all’epoca di Giant Steps, la mia preoccupazione
maggiore erano gli accordi, mentre ora è cominciato per me il periodo
modale. Se ne suona molta musica modale nel mondo. In africa per
esempio, essa ha un rilievo straordinario, ma verso qualunque altro
paese si indirizzi lo sguardo -alla Spagna, alla Scozia, all’India o
alla Cina- è sempre questo tipo di musica che si impone all’attenzione.
Esiste dunque una base comune. Ed è questo aspetto universale della
musica che li interessa e mi attira, fungendo da traguardo. »
(Riportato da Frank Tenot nel fascicolo n. 10 I giganti del jazz Curcio Editore)
« Sotto
il profilo tecnico ci sono certe cose che mi piace inserire nei miei
assoli. Per farlo devo avere a disposizione il materiale giusto.
Funzionale allo swing, ad essere variato. Voglio riprendere vari tipi
di musica e inserirli in un contesto jazzistico per suonarli con i miei
strumenti. Mi piace la musica orientale e Yusef Lateef è uno che per
qualche tempo l’ ha utilizzata facendola confluire nel suo modo di
suonare. Ornette Coleman suona a volte con un concetto spagnoleggiante,
come pure con altri concetti musicali dai profumi esotici. In questi
approcci musicali ci sono delle cose alle quali posso attingere per
adattarle al modo in cui a me piace suonare. »
(Da Coltrane On Coltrane, di John Coltrane in collaborazione con Don Demicheal, in Down Beat, 29 settembre 1960)
« Non
so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato ancora
suonato. Non so che cosa è. So che lo sentirò nel momento in cui me ne
impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare. »
(Riportato da Frank Kofsky nelle note di copertina scritte per l’album The John Coltrane Quartet Plays)
« Stavo
provando a fare qualcosa…. C’era qualcosa che volevo fare musicalmente
e arrivai alla conclusione che potevo fare due cose: avere un gruppo
che suonasse nel modo in cui eravamo soliti suonare, o un gruppo che
seguisse la direzione che ora ha preso il mio gruppo. E io potrei unire
questi due gruppi seguendo questi concetti. »
(Riportato in Black Nationalism And The Revolution In Music, di Frank Kofsky, Pathfinder Press , 1970)
« Pharoah
Sanders mi aiuta a rimanere in vita, a volte, perché il ritmo che sto
sostenendo è fisicamente molto intenso. Sento che mi fa piacere avere
questa forza nel gruppo e in qualsiasi altro luogo. Pharoah è molto
forte nello spirito e nella volontà, mi capisce queste sono le cose che
mi piace avere attorno a me. Nel vecchio gruppo Elvin aveva questa
forza. Io devo sempre avere vicino a me qualcuno con questa forza. »
(Riportato in Black Nationalism And The Revolution In Music, di Frank Kofsky, Pathfinder Press, 1970)
« Non
c’è mai fine. Ci sono sempre dei suoni nuovi da immaginare, nuovi
sentimenti da sperimentare. E c’è la necessità di purificare sempre più
questi sentimenti, questi suoni, per arrivare ad immaginare allo stato
puro ciò che abbiamo scoperto. In modo da riuscire a vedere con maggior
chiarezza ciò che siamo. Solo così riusciamo a dare a chi ci ascolta
l’essenza, il meglio di ciò che siamo. »
(Riportato da Nat Hentoff nelle note di copertina scritte per l’album Meditation)
« Voglio
essere una forza del bene. In altre parole so che esistono forze del
male, forze che arrecano sofferenza agli altri e miseria al mondo, ma
io voglio essere una forza opposta. Io voglio essere la forza con la
quale fare veramente del bene. »
(Riportato da Nat Hentoff)

Discografia 

Registrazioni come leader

  • 1957
    • Dakar – Original Jazz Classics OJC 393 CD, 1957
    • Coltrane – Original Jazz Classics OJC 020 CD, 1957
    • Lush Life – Original Jazz Classics OJC 131 CD, 1957-58
    • Traneing In – Original Jazz Classics OJC 189 CD, 1957
    • Blue Train – Blue Note CDP 46095 CD, 1957
    • Cattin’ With Coltrane And Quinichette – OJC 460 CD, 1957
    • Wheelin’ And Dealin’ – Original Jazz Classics OJC 672 CD, 1957
    • The Believer – Original Jazz Classic OJC 876 CD, 1957-58
    • The Last Trane – Original Jazz Classics OJC 394 CD, 1957-58
  • 1958
    • Soultrane – Original Jazz Classics OJC 021 CD, 1958
    • Settin’ The Pace – Original Jazz Classics OJC 078 CD, 1958
    • Black Pearls – Original Jazz Classics OJC 352 CD, 1958
    • Standard Coltrane – Original Jazz Classics OJC 246 CD, 1958
    • The Stardust Session – Prestige 24056 CD, 1958
    • Bahia – Original Jazz Classics OJC 415 CD, 1958
    • Coltrane Time – Blue Note 84461 CD, 1958
    • Blue Trane: John Coltrane Plays The Blues – Prestige PRCD 11005 CD, 1957-58
    • Like Sonny – Roulette 793901 CD, 1958-60
  • 1959
    • Giant Steps – Atlantic A2 1311 CD, 1959
    • Coltrane Jazz – Atlantic 1354 CD, 1959
  • 1960
    • The Avant-Garde – Atlantic 90041 CD, 1960
    • My Favorite Things – Atlantic 1361 CD, 1960
    • Coltrane’s Sound – Atlantic 1419 CD, 1960
    • Coltrane Plays The Blues – Atlantic 1382 CD, 1960
  • 1961
    • Olé Coltrane – Atlantic 1373 CD, 1961
    • The Best Of John Coltrane – Atlantic 1541 CD, 1951-1961
    • The Heavyweight Champion – Rhino RHI 71984 CD, 1959-61
    • Africa/Brass – Impulse! MCAD 42001 CD, 1961
    • The Complete Africa/Brass – Impulse! IMPD 2-168 CD, 1961
    • Live At The Village Vanguard – Impulse! MCAD 39136 CD, 1961
    • Impressions – Impulse! MCAD 5887 CD, 1961-63
    • The Complete Paris Concerts – Magnetic MRCD 8114 CD, 1961
    • The Complete Copenhagen Concert – Magnetic MRCD 116 CD, 1961
    • European Impressions – Bandstand BD 1514 CD, 1961
    • Live In Stockholm,1961 – Charly CD 117 CD, 1961
    • John Coltrane Quartet With Eric Dolphy – Black Label 8018 CD, 1961
    • John Coltrane Meets Eric Dolphy – Moon MCD 069 CD, 1961
  • 1962
    • Coltrane – Impulse! IMPD 215 CD, 1962
    • Coltrane – Impulse! MCAD 5883 CD, 1962
    • From The Original Master Tapes – Impulse MCAD 5541 CD, 1961-62
    • Live At Birdland – Charly CD 68 CD, 1962
    • The European Tour – Pablo Live 2308222 CD, 1962
    • The Complete Graz Concert vol 1 – Magnetic MRCD 8104 CD, 1962
    • The Complete Graz Concert vol 2 – Magnetic MRCD 8105 CD, 1962
    • The Complete Stockholm Concert vol 1 – Magnetic MRCD 8108 CD, 1962
    • The Complete Stockholm Concert vol 2 – Magnetic MRCD 8109 CD, 1962
    • Stockholm ’62 The Complete Second Concert vol 1 – Magnetic MRCD 127 CD, 1962
    • Stockholm ’62 The Complete Second Concert vol 2 – Magnetic MRCD 128 CD, 1962
    • Visit To Scandinavia – Jazz Door JD 1210 CD, 1962
    • On Stage 1962 – Accord 556632 CD, 1962
    • Promise – Moon MCD 058 CD, 1962
    • Bye Bye Blackbird – Original Jazz Classics OJC 681 CD, 1962
    • Ballads – Impulse! GRD 156 CD, 1962
    • Ev’ry Time We Say Goodbye – Natasha NI-4003 CD, 1962
    • Live At Birdland And The Half Note – Cool & Blue 101 CD, 1962-65
  • 1963
    • Coltrane Live At Birdland – Impulse! MCAD 33109 CD, 1963
    • John Coltrane And Johnny Hartman – Impulse! GRD 157 CD, 1963
    • The Gentle Side Of John Coltrane – Impulse! GRD 107 CD, 1962-64
    • The Paris Concert – Original Jazz Classics OJC 781 CD, 1963
    • ’63 The Complete Copenhagen Concert vol 1 – Magnetic MRCD 137 CD, 1963
    • ’63 The Complete Copenhagen Concert vol 2 – Magnetic MRCD 138 CD, 1963
    • Live in Stockholm,1963 – Charly CD 33 CD, 1963
    • Afro Blue Impressions – Pablo Live 2620101 CD, 1963
    • Newport ’63 – Impulse! GRD 128 CD, 1961,63
  • 1964
    • Coast To Coast – Moon MCD 035 CD, 1964-65
    • Crescent – Impulse! MCAD 5889 CD, 1964
    • A Love Supreme – Impulse! GRD 155 CD, 1964
    • Dear Old Stockholm – Impulse! GRD 120 CD, 1963-65
  • 1965
    • The John Coltrane Quartet Plays – Impulse! IMPD 214 CD, 1965
    • The John Coltrane Quartet Plays – Impulse! MCAD 33110 CD, 1965
    • The Major Works of John Coltrane – Impulse! GRD 21132 CD, 1965
    • Transition – Impulse! GRD 124 CD, 1965
    • New Thing At Newport – GRD 105 CD, 1965
    • Live In Paris – Charly CD 80 CD, 1965
    • Live In Antibes-1965 – French Radio Classic Concerts 119 CD, 1965
    • Live In Antibes 1965 – LeJazz 10 CD, 1965
    • Love In Paris – LeJazz 031 CD, 1965
    • A Love Supreme: Live in Concert – Black Label 8022 CD, 1965
    • Live In Paris – Black Label 8023 CD, 1965
    • A Live Supreme – Moon MCD 042 CD, 1965
    • New York City ’65 Vol 1 – Magnetic MRCD 134 CD, 1965
    • New York City ’65 Vol 2 – Magnetic MRCD 135 CD, 1965
    • Live In Seattle – Impulse! GRD 2-146 CD, 1965
    • Om – Impulse! MCAD 39118 CD, 1965
    • First Meditations – Impulse! GRD 118 CD, 1965
    • Meditations – Impulse! MCAD 39139 CD, 1965
    • Sun Ship – Impulse! IMPD 167 CD, 1965
    • Ascension – Impulse!, 1965
  • 1966
    • Live At The Village Vanguard Again! – Impulse! IMPD 213 CD, 1966
    • Live In Japan – Impulse! GRD 102 CD, 1966
    • Interstellar Space – Impulse! GRD 110 CD, 1967
    • Stellar Regions – Impulse! IMPD 169 CD, 1966
  • 1967
    • Expression – Impulse! GRD 131 CD, 1967
    • A John Coltrane Restrospective – Impulse! GRP 31192 CD, 1961-67

Registrazioni in collaborazioni 

  • Con Kenny Burrell 1958
    • Kenny Burrell & John Coltrane OJC20 300-2, 1958

  • Con Miles Davis 1955
    • Miles – Original Jazz Classics OJC 006 CD, 1955
  • con Miles Davis 1956
    • Cookin’ – Original Jazz Classics OJC 128 CD, 1956
    • Relaxin’ – Original Jazz Classics OJC 190 CD, 1956
    • Workin’ – Original Jazz Classics OJC 296 CD, 1956
    • Steamin’ – Original Jazz Classics OJC 391 CD, 1956
    • The Complete Prestige Recordings – Prestige PR 102 CD, 1951-56
    • ‘Round About Midnight – Columbia CK 40610 CD, 1955-56
  • con Miles Davis 1958
    • Milestones – Columbia CK 40837 CD, 1958
    • Miles And Coltrane – Columbia CK 44052 CD, 1958
    • ’58 Sessions – Columbia CK 47835 CD, 1958
    • Compact Jazz/Miles Davis – Phillips PH 838254 CD, 1958
    • Mostly Miles – Phontastic NCD 8813 CD, 1958
    • Live In New York – Bandstand BD 1501 CD, 1957-59
  • con Miles Davis 1959
    • Kind Of Blue – Columbia CK 40579 CD, 1959
  • con Miles Davis 1960
    • On Green Dolphin Street – Jazz Door 1226 CD 1960
    • Live In Zurich – Jazz Unlimited JUCD 2031 CD, 1960
    • Miles Davis In Stockholm Complete – Dragon DRCD 228 CD, 1960
  • con Miles Davis 1961
    • Some Day My Prince Will Come – Columbia CK 40947 CD, 1961
    • Circle In The Round – Columbia CK 46862 CD, 1955-61
  • con Thelonious Monk 1957
    • Thelonious Himself – Original Jazz Classics OJC 254 CD, 1957
    • Thelonious Monk con John Coltrane – Original Jazz Classics OJC 039 CD, 1957
    • Monk’s Music – Original Jazz Classics OJC 084 CD, 1957
  • con Thelonious Monk 1958
    • Live At The Five Spot Discovery! – Blue Note 799786 CD, 1958
    • The Complete Riverside Recordings – CD
    • The Complete Blue Note Recordings – CD, 1947-1958
  • Con Various Others:
    • Con Dizzy Gillespie: Dee Gee Days – Savoy SV4426 CD, 1951-52
    • Con Johnny Hodges: Used To Be Duke – Verve 849 394 CD, 1954
    • Con Tadd Dameron: Mating Call – Original Jazz Classics 212 CD, 1956
    • Con Paul Chambers: Chambers’ Music – Blue Note BN 784437 CD, 1956
    • con Elmo Hope: The All Star Sessions – Milestone M 47037 CD, 1956
    • con Sonny Rollins: Tenor Madness – Original Jazz Classics OJC 124 CD, 1956
    • con Prestige All Stars: Tenor Conclave – Original Jazz Classics OJC 127 CD, 1956
    • con Prestige All Stars: Interplay For Two Trumpets And Two Tenors – Original Jazz Classics OJC 292 CD, 1957
    • con Prestige All Stars: The Cats – Original Jazz Classics OJC 079 CD, 1957
    • con Oscar Pettiford: Winners’s Circle – Bethlehem BR 5030 CD, 1957
    • con Art Blakey: Art Blakey’s Big Band – Bethlehem BR 5011 CD, 1957
    • con Sonny Clark: Sonny’s Crib – Blue Note BN 46819 CD, 1957
    • con Cecil Taylor: Hard Driving Jazz – Blue Note CDP 784461 CD, 1957
    • con Johnny Griffin: A Blowing Session – Blue Note 81559 CD, 1957
    • con Mal Waldron: Mal 2 – Original Jazz Classics OJC 671 CD, 1957
    • con Red Garland: All Mornin’ Long – Original Jazz Classics OJC 293 CD, 1957
    • con Red Garland: Soul Junction – Original Jazz Classic OJC 481 CD, 1957
    • con Red Garland: High Pressure – Original Jazz Classics OJC 349 CD, 1957
    • con Red Garland: Dig It! – Original Jazz Classics OJC 392 CD, 1957,58
    • con George Russell: New York N.Y. – Decca MCAD 31371 CD, 1958
    • con Gene Ammons: The Big Sound – Original Jazz Classics OJC 651 CD, 1958
    • con Gene Ammons: Groove Blues – Original Jazz Classics OJC 723 CD, 1958
    • con Kenny Burrell: Kenny Burrell & John Coltrane – Original Jazz Classics OJC 300 CD, 1958
    • con Wilbur Harden: Jazz Way Out – Savoy SV 0122 CD, 1958
    • con Wilbur Harden: Tanganyika Strut – Savoy SV 0125 CD, 1958
    • con Wilbur Harden: Dial Africa – Savoy SV 901458 CD, 1958
    • con Wilbur Harden: Africa-The Savoy Sessions – Savoy SV 650129 CD, 1958
    • con Cannonball Adderley: Cannonball & John Coltrane – EMARCY 834588 CD, 1959
    • con Milt Jackson: Bags & Trane – Atlantic 1368 CD, 1959
    • con Duke Ellington: Duke Ellington & John Coltrane – Impulse! IMPD 166 CD, 1962
    • Compilations con Various Others: The Prestige Recordings – Prestige 4405 CD, 1956-58
    • Compilations con Various Others: The Art Of John Coltrane – Blue Note 99175 CD, 1956-58
    • Compilations con Various Others: John Coltrane And The Jazz Giants – Prestige 60104 CD, 1956-58
    • Compilations con Various Others: John Coltrane: The Bethlehem Years – Bethlehem BET 5001 CD,
    • Compilations con Various Others: The Last Giant – Rhino RHI 71255 CD, 1949-60

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