Descrizione
cod.EA
IL RESTO DEL CARLINO N.1 DEL 20 MARZO 1885
RISTAMPA ANASTATICA / COPIA CONFORME, REALIZZATA PROBABILMENTE TRA GLI ANNI SETTANTA ED OTTANTA DAGLI STESSI PRODUTTORI DEL GIORNALE (LA POLIGRAFICI EDITORIALE DEL GRUPPO MONTI-RIFFESER) NELL’ AMBITO DELLE CELEBRAZIONI PER QUALCHE TRAGUARDO DI LONGEVITA’ ( O I 90 OPPURE I 100 ANNI DI VITA) RAGGIUNTO DAL TRADIZIONALE E STORICO QUOTIDIANO BOLOGNESE A DIFFUSIONE ANCHE NAZIONALE
il Resto del Carlino è un quotidiano italiano, tra i più antichi tuttora in vita. Fondato nel 1885, è il giornale simbolo di Bologna e il primo quotidiano per diffusione in Emilia-Romagna e Marche, nonché il settimo quotidiano più diffuso in Italia. Tra il 1945 e il 1953 la testata ebbe il nome Giornale dell’Emilia.
Con gli altri tre quotidiani dello stesso gruppo editoriale (Poligrafici Editoriale), La Nazione di Firenze, Il Giorno di Milano e Il Telegrafo di Livorno, forma il consorzio delle quattro testate denominato QN – Quotidiano Nazionale.
Nel 1885 a Firenze circolava un giornale di nome Il Resto al Sigaro, venduto nelle tabaccherie al prezzo di 2 centesimi. Costando un sigaro 8 centesimi, era facile per gli esercenti abbinare la vendita dei due prodotti e rendersi così promotori del giornale. Un gruppo di amici bolognesi che frequentava abitualmente il capoluogo toscano trovò l’idea interessante e, nel giro di due mesi, decise di importarla nella città felsinea. I loro nomi erano Cesare Chiusoli, Giulio Padovani e Alberto Carboni, tutti e tre con alle spalle studi di giurisprudenza e un’attività consolidata di giornalismo in altri quotidiani cittadini (Stella d’Italia, La Patria).
Il loro giornale uscì con le stesse dimensioni e prezzo del foglio fiorentino. Costava due centesimi (invece dei 5 della stampa “seria” e di quella sportiva) e aveva un formato di 19 × 29 cm, più piccolo dell’attuale A4. Secondo i canoni dell’epoca la pagina in formato lenzuolo era tipica della stampa d’informazione; invece i fogli cittadini popolari circolavano in formato ridotto. I fondatori scelsero questo secondo formato poiché il nuovo giornale non nasceva per fare concorrenza alla stampa “seria”, ma per inserirsi nel mercato delle letture leggere.
Si decise che il nome dovesse richiamarsi all’originale fiorentino, senza tuttavia esserne una copia, e mantenerne lo stesso tono originale, scanzonato e bizzarro. Nella Bologna ottocentesca la moda giornalistica imponeva nomi come “La Striglia”, “La Frusta”, “Lo scappellotto”. I fondatori scelsero “il Resto… del Carlino”. Il carlino era stata una moneta dello stato Pontificio coniata dal XIII secolo al 1796, quindi alla fine dell’Ottocento non era più in circolazione da tempo. Con l’unità d’Italia e la nuova monetazione imperniata sulla lira, la moneta da 10 centesimi di lire continuava comunque, nell’uso popolare, ad essere chiamata “carlino”. I puntini di sospensione al centro del nome erano ironici: la testata si rifaceva, infatti, a un diffuso modo di dire locale: “dare il resto del carlino” significava “dare ad ognuno il suo avere”, “regolare i conti” e, per estensione, “pungolare i potenti e fustigare i prepotenti”.
Il primo numero de Il Resto… del Carlino uscì il 21 marzo 1885. L’editoriale, di Giulio Padovani, s’intitolava semplicemente «?». Padovani esordì con queste parole:
«Il punto interrogativo che scriviamo in fronte al primo articolo sta a sintetizzare la curiosità dei lettori riguardo al come e al perché della nostra pubblicazione. Questa curiosità ci affrettiamo di appagare il più breve e il più chiaramente possibile, a scanso di futuri equivoci. Vogliamo fare un giornale piccolo per chi non ha tempo di leggere i grandi: vogliamo fare un giornale per la gente che ha bisogno o desiderio di conoscere i fatti e le notizie senza fronzoli rettorici [sic], senza inutili e diluite divagazioni: un giornale il quale risponda al quotidiano e borghese che c’è di nuovo? che ogni galantuomo ha l’abitudine di rivolgere ogni mattina al primo amico o conoscente che incontra, (…) [un giornale] dove l’uomo d’affari, l’operaio, l’artista, la donna, tutti, troveranno in un batter d’occhio… le notizie sugli avvenimenti più importanti.» |
Sulla testata del nuovo quotidiano compare una giovane donna con una camicia bianca e un sigaro fumante in bocca – riferimento al tabaccaio da cui “si va a comprare il primo sigaro della giornata”. La pagina è divisa in tre colonne. La forma di esposizione delle notizie è agile e si presta alla lettura “in un batter d’occhio”.
Lo stampatore è la Tipografia Azzoguidi in via Garibaldi 3, dove è sistemata anche la redazione. Alberto Carboni firma il quotidiano come redattore responsabile. La prima tiratura è di 8.000 copie; il giornale è venduto sia nelle tabaccherie, dove viene distribuito come resto al sigaro, sia nelle altre botteghe, oltre che nelle ancora rarissime edicole. In maggio la signorina toglie la camicetta bianca e mette un abito nero. Dopo sei mesi le copie tirate diventano 14.000, ma anche i costi di produzione crescono e la proprietà non può fare altro che ritoccare il prezzo. L’aumento è minimo: un solo centesimo, che viene compensato con l’aumento del formato. La decisione però ha un effetto controproducente: i lettori sono spiazzati dalle nuove dimensioni mentre ai tabaccai il giornale non fa più comodo perché “non serve più come resto”‘. Le vendite precipitano, si arriva allo stato di crisi.
La svolta arriva con l’ingresso di Amilcare Zamorani come socio e come gerente responsabile. Avvocato di origini ferraresi trapiantato a Bologna, Zamorani, a partire dal 1886, trasforma il “Resto del Carlino” (i tre puntini sono già scomparsi in dicembre) in un vero quotidiano di informazione. Il giornale assume il tono dei maggiori giornali nazionali e si colloca in un’area politica di riferimento, quella dell'”Associazione democratica” di radicali, repubblicani e socialisti legalitari. Il formato aumenta a 37×52 cm, le colonne pure (da tre a cinque), così come il prezzo: 5 centesimi.
Il 1º gennaio 1888 il Carlino assorbe il concittadino La Patria. Inoltre il giornale si dota di una propria tipografia. Per sfruttare al meglio la capacità produttiva, alla fine del 1889 nasce Italia Ride, settimanale satirico–umoristico a colori. Il periodico vive solo una stagione; tra i collaboratori figurano artisti come Galantara, Ardengo Soffici e Alfredo Baruffi.
Entro il 1890 il Carlino è diventato il primo quotidiano bolognese, forte delle 20.000 copie vendute. Nel 1895 viene acquistata la prima macchina rotativa; il giornale si trasferisce nella nuova sede di piazza Calderini. Compaiono fin da allora le inserzioni pubblicitarie di marchi in gran parte rimasti tuttora gli inserzionisti privilegiati del quotidiano: Fiat, Liebig, Olio Sasso, Acqua Fiuggi, Campari e l’Idrolitina del cavalier Gazzoni.
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Bologna, 20 marzo 1885. Quella mattina sotto le Due Torri i bolognesi trovarono un foglio quotidiano tutto nuovo, «un giornale piccolo per chi non ha tempo di leggere i grandi» e con un approccio simpatico già nella sua testata, «il Resto del Carlino». Il 20 marzo esce il primo numero del “Resto del Carlino”, giornale fondato con 400 lire da un gruppo di giovani laureati in legge di idee liberali: Cesare Chiusoli, Alberto Carboni, Giulio Padovani e Francesco Tonolla, “i quattro moschettieri”. Viene stampato in formato “notarile” nella tipografia Azzoguidi, presso palazzo Barbazzi, in via Garibaldi n. 3. Costa due centesimi, il resto della moneta di rame da dieci centesimi (detta “carlein”) necessaria per l’acquisto di un sigaro toscano. “Dare il resto del carlino” è anche in gergo promettere il seguito di una punizione o di un rimprovero, quindi per estensione strigliare, sferzare. Nei primi tempi il “Carlino” appoggia l’Associazione democratica bolognese e i socialisti dell’Avv. Giuseppe Barbanti Brodano. In seguito abbandona le posizioni radicali e aderisce alla svolta liberale filo-crispina. Il successo delle vendite ne renderà presto difficile la gestione amministrativa: nel 1886 i fondatori cederanno le proprie quote a Amilcare Zamorani. Dal 1889 avrà una propria tipografia, primo tra i giornali bolognesi.