Descrizione
PREMESSA: LA SUPERIORITA’ DELLA MUSICA SU VINILE E’ ANCOR OGGI SANCITA, NOTORIA ED EVIDENTE. NON TANTO DA UN PUNTO DI VISTA DI RESA, QUALITA’ E PULIZIA DEL SUONO, TANTOMENO DA QUELLO DEL RIMPIANTO RETROSPETTIVO E NOSTALGICO , MA SOPRATTUTTO DA QUELLO PIU’ PALPABILE ED INOPPUGNABILE DELL’ ESSENZA, DELL’ ANIMA E DELLA SUBLIMAZIONE CREATIVA. IL DISCO IN VINILE HA PULSAZIONE ARTISTICA, PASSIONE ARMONICA E SPLENDORE GRAFICO , E’ PIACEVOLE DA OSSERVARE E DA TENERE IN MANO, RISPLENDE, PROFUMA E VIBRA DI VITA, DI EMOZIONE E DI SENSIBILITA’. E’ TUTTO QUELLO CHE NON E’ E NON POTRA’ MAI ESSERE IL CD, CHE AL CONTRARIO E’ SOLO UN OGGETTO MERAMENTE COMMERCIALE, POVERO, ARIDO, CINICO, STERILE ED ORWELLIANO, UNA DEGENERAZIONE INDUSTRIALE SCHIZOFRENICA E NECROFILA, LA DESOLANTE SOLUZIONE FINALE DELL’ AVIDITA’ DEL MERCATO E DELL’ ARROGANZA DEI DISCOGRAFICI .
THE BEATLES
magical mystery tour
Double EP / Confezione di 2 45 giri , 1967, parlophone, this is scarce late 80’s reissue almost congruent to the original pressing / rara edizione quasi anastatica stampata a fine anni 80 , SMMT-1 (SMMT – A1 , SMMT – B1 ), UK
OTTIME CONDIZIONI, both vinyls ex++/NM , cover ex++, booklet ex ++/NM , Beatles Uk two records ep set with six songs from the “Magical Mystery
Tour” show and 28 pages colour booklet attached in gatefold cover/ EP contenente 2 45 giri con 6 brani in totale , copertina apribile con fascicolo interno di 24 pagine a colori , yellow inner book lyrics sheet / inserto centrale del fascicolo con i testi delle canzoni di colore giallo, solid centered vinyls, labels without Emi box logo/ dischi col centrino compatto, etichette senza il logo rettangolare Emi.
Magical Mystery Tour è un album dei Beatles del 1967. Fu pubblicato in due diversi formati: come doppio EP (per il mercato europeo) e anche come LP (negli Stati Uniti).
L’album fu pubblicato nello stesso periodo in cui veniva trasmesso negl Regno Unito il film omonimo, di cui il lato A dell’album (e il primo EP nell’edizione europea) costituiscono la colonna sonora. Il film fu un insuccesso, al punto che la rete statunitense ABC, che programmava di trasmetterlo, annullò l’evento (il film sarebbe andato in onda per la prima volta negli USA solo nel 1976).
- Interprete: The Beatles
- Etichetta: Parlophone
- Catalogo: SMMT – 1 (SMMT-A1 , SMMT-B1)
- Matrici : 7YCE . 18435 – 3 / 7YCE . 18434 – 3 / 7YCE . 18436 – 2 / 7YCE . 18437 – 3
- Data di pubblicazione: around 1987
- Supporto:vinile 45 giri
- Tipo audio: stereo
- Dimensioni: 17,5 cm.
- Facciate: 4
- Gatefold / copertina apribile, silver and black labels, black inner sleeves
this late 80’s EP box reissue have solid centers, labels with all the hall marks of the original but without Emi box logo, SMMT – 1 STEREO catalogue number in upper This was one of the final pressings of this 2-EP set and it included an
Brani / TracksDisco 1 Lato A
Disco 1 Lato B
Disco 2 Lato A
Disco 2 Lato B
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Formazione
- John Lennon – chitarra ritmica, voce; armonica in The Fool on the Hill
- Paul McCartney – voce, basso, pianoforte; flauto
dolce in The Fool on the Hill - George Harrison – chitarra solista, voce; armonica in The Fool on the Hill
- Ringo Starr – batteria, cori
Altri musicisti
- George Martin – pianoforte
- Mal
Evans – tamburello - Elgar Howarth,
Roy Copestake,
John Wilbraham,
Tony Fisher, Greg Bowen, Derek Watkins,
Stanley
Roderick. David Mason – tromba - Christopher
Taylor, Richard Taylor, Jack Ellory, Ray Swinfield,
P. Goody, Manny Winters,
Dennis Walton
– flauto - Sezione di violoncelli
- Sidney Sax, Jack Rothstein,
Ralph Elman, Andrew McGee,
Jack Greene, Louis Stevens,
John Jezzard,
Jack Richards
– violino - Lionel Ross, Eldon Fox, Bram Martin, Terry Weil, John
Hall, Derek Simpson,
Norman Jones –
violoncello - Ken Essex, Leo Birnbaum –
viola - Gordon Lewins
– clarinetto - Neil Sanders,
Tony Tunstall,
Morris Miller
– corno - coro di 16 elementi
- Leon Calvert,
Freddy Clayton,
Bert Courtley,
Duncan
Campbell – tromba, flicorno - Dick Morgan, Mike Winfield
– oboe, corno
inglese - Frank Clarke –
contrabbasso - Eddie Krammer
– vibrafono - Mick Jagger, Keith Richards, Marianne Faithfull, Eric
Clapton, Keith Moon, Pattie
Harrison, Jane Asher, Mike McCartney,
Graham
Nash, Gary Leeds, Hunter Davies
– voce - Orchestra composta da 4 violini,
2 violoncelli, 2 sassofoni,
2 tromboni,
una fisarmonica e 2 trombe
More than two weeks before its accompanying film received its
premiere on BBC television, The Beatles’ Magical Mystery Tour EP was
released.
As The Beatles had six songs for release, it was decided that they would
release a double-EP set. The package came with a gatefold sleeve and a
28-page book, including lyrics. This retailed at twice the normal price
of a single.
The EP had the catalogue number Parlophone MMT 1 (mono) and SMMT 1
(stereo). It was the first Beatles EP to be issued in both mono and
stereo.
Magical Mystery Tour entered the charts on 13 December, and spent 12
weeks in the top 40. Its highest chart position was number two on the
singles chart, the dedicated EP chart having been abandoned at the start
of December 1967. It was held off the top spot by The Beatles’ own Hello, Goodbye.
The EP retailed at 19 shillings and six pence. It had advance orders
in the UK of 400,000, and by mid January 1968 had sold 600,000
Negli Stati Uniti Magical Mystery Tour fu pubblicato il 27 novembre
1967, mentre nella Gran Bretagna, ed in Europa, uscì solo sotto formato
di doppio EP (extended play). Soltanto nel 76 il titolo entrò a far
parte della discografia ufficiale (cioè Inglese) come 33giri.
Le
cause di questa decisione sono da individuare nella quantità di brani
che facevano parte della colonna sonora dell’omonimo film: poche perché
si realizzasse un 44 giri, troppe per un singolo EP. La soluzione della
EMI (in gran bretagna) fu quella di creare allora un doppio EP, in una
confezione comprensiva di 28 pagine di fotografie a colori e i testi
delle canzoni. Da notare che il prezzo al quale fu immesso nel mercato
UK fu davvero basso,il che fece sì che durante il periodo natalizio le
vendite arrivassero alle stelle.
L’album comprende la colonna
sonora dell’omonimo film (lato A) e le canzoni pubblicate su 45giri in
quel periodo e non comprese in album precedenti
Il Film fu un
insuccesso totale, tanto che l’emittente statunitense ABC annullò la
messa in onda del film. Negli USA la pellicola sarà messa in onda in tv
soltanto nel 1976.
Ma se la pellicola si rivelò un completo
fallimento, lo stesso non si può dire per questo disco. Anzi, le canzoni
presenti in Magical Mystery Tour sono tra le migliori mai prodotte dai
quattro ragazzi di Liverpool: date uno sguardo ai titoli presenti,
troverete che tutte queste canzoni sono di grandissimo interesse e
qualcuna è anche tra le più belle dell’intero catalogo Beatlesiano.
Per quanto riguarda
l’aspetto musicale, vale lo stesso discorso fatto per Sgt Pepper:
psichedelia, innovazione, sperimentalismo. Le ansie, le immagini, le
visioni divengono musica mentre crescono le divergenze tra i due Leader
del gruppo. Paul era legato più alla melodia, John invece amava i suoni
quasi stridenti. Ma non deve stupire che tra i brani più interessanti ci
sia una canzone di Harrison, Blue Jay Way: inquietante, psichedelica,
visionaria, sperimentale.
Già in quel periodo i Beatles mal
sopportavano le eccessive attenzioni di media e critici e sedicenti
intellettuali, erano stufi di persone che, a detta degli stessi fab,
sopravvalutavano il loro lavoro. Per esempio, nella scuola che
frequentava John, dove nacque il nucleo originario dei beatles, la
Quarry Bank, un professore faceva analizzare le canzoni dei Beatles ai
suoi alunni. John allora trasse ispirazione da questa lettera e cercò di
scrivere un testo estremamente confuso, ridendo all’idea che qualcuno
poteva prendere il suo ammasso di frasi scollegate e trovarne sensi e
significati nascosti. Così nacque I’m The Walrus.
I’m The Walrus, The Fool on the Hill sono tra i pezzi che emergono prepotentemente da questo doppio EP e più in generale nel contesto musicale del 67. Tutto sommato, però,
musicalmente i Beatles non fecero altro che continuare sulla strada del
Sgt. Pepper. Ma l’album segnò anche l’allontanarsi dalla psichedelia:
troppo distante per Paul, troppo poco sperimentale per John.
Il
Magical Mystery Tour non è così famoso al giorno d’oggi, non gode della
notoreità del Sgt Pepper, di Abbey Road.. ma è proprio in questo periodo
che i Beatles si trovano sulla vetta del mondo, all’apice del successo e
della loro vena creativa. Da quest’album le acredini divennero più
forti, i litigi continui, ed ognuno cominciò a cercare la propria
strada. Inoltre, questo fu il primo album ad essere registrato dopo la
morte del loro storico manager Brian Epstein, colui che scoprì i
Beatles, che li fece diventare quello che erano. La perdita di Epstein i
ragazzi ebbero un durissimo colpo. Lui aveva tenuto unito il gruppo,li aveva formati, e indirizzati verso il successo.
Simbolicamente, inoltre, è da notare che Flying, uno
dei pochissimi pezzi strumentali dei Beatles, è l’unico brano
dell’intero catalogo ad essere firmato da tutti e quattro i componenti
del gruppo.
After the death of manager Brian Epstein, the Beatles took a series
of rather poor turns, the first of which was the Magical Mystery Tour
film. Conceived as a low-key art project, the Beatles were oddly
nonchalant about the challenges of putting together a movie. They’d
assembled records, they’d worked on A Hard Day’s Night and Help!—
how hard could it be? Without Epstein to advise, however, things like
budgeting and time management became a challenge, and this understated
experimental film turned into a sapping distraction.
Musically, however, the accompanying EP was an overwhelming success.
The EP format apparently freed the band to experiment a bit, not having
to fill sides of a 45 with pop songs or make the grand statements of an
album. The title track is a rousing set piece, meant to introduce the
travelogue concept of the film. The remaining four songs released
exclusive to the EP are low-key marvels– Paul McCartney’s graceful “The
Fool on the Hill” and music-hall throwback “Your Mother Should Know”,
George Harrison’s droning “Blue Jay Way”, and the percolating
instrumental “Flying”. Few of them are anyone’s all-time favorite
Beatles songs, only one had a prayer of being played on the radio, and
yet this run seems to achieve a majesty in part because of that: It’s a
rare stretch of amazing Beatles music that can seem like a private
obsession rather than a permanent part of our shared culture.
As a more laid-back release, the EP suggested the direction the band
might have taken on the White Album had it remained a full band, happy
to shed the outsized conceptualism and big statements and craft
atmospheric, evocative pieces. In the U.S., the EP was paired with three
recent double-sided singles, ballooning Magical Mystery Tour
into an album– the only instance in which a U.S. release, often mangled
by Capitol, became Beatles canon. With only the EP’s title track
married specifically to the film’s themes, the overall effect of a title
track/album sleeve as shell game was in line with Sgt. Pepper‘s
Lonely Hearts Club Band.
Of the three singles, the undisputed highlight is “Strawberry Fields
Forever”/ “Penny Lane”, John Lennon and Paul McCartney’s tributes to
their hometown, Liverpool. Slyly surreal, assisted by studio
experimentation but not in debt to it, full of brass, harmonium, and
strings, unmistakably English– when critics call eccentric or baroque
UK pop bands “Beatlesesque,” this is the closest there is to a root for
that adjective. There is no definitive Beatles sound, of course, but
with a band that now functions as much as a common, multi-generational
language as a group of musicians, it’s no surprise that songs rooted in
childhood– the one experience most likely to seem shared and have
common touchpoints– are among their most universally beloved.
The rest of the singles collected here are no less familiar: Lennon’s
“All You Need Is Love” was initially completed up for an international
TV special on BBC1– its basic message was meant to translate to any
language. Harrison’s guitar solo, producer George Martin’s strings, and
the parade of intertextual musical references that start and close the
piece elevate it above hippie hymn. Its flipside, “Baby You’re a Rich
Man”, is less successful, a second-rate take on John Lennon’s
money-isn’t-everything theme from the considerably stronger “And Your
Bird Can Sing”. It’s the one lesser moment on an otherwise massively
rewarding compilation.
Much better from Lennon is “I Am the Walrus”, crafted for the Magical
Mystery Tour film and EP but also released as a double-sided single
with McCartney’s “Hello Goodbye”. One of Lennon’s signature songs,
“Walrus” channels the singer’s longtime fascinations with Lewis Carroll,
puns and turns of phrase, and non sequiturs. “Hello Goodbye” echoes the
same contradictory logic found in the verses of “All You Need Is Love”,
a vague sense of disorientation that still does little to balance its
relentlessly upbeat tone. McCartney excelled at selling simplistic
lyrics that risk seeming cloying, though, and he again does here– plus,
the kaleidoscopic, carnival-ride melody and interplay between lead and
backing vocals ensure it’s a much better record than it is a song.
In almost every instance on those singles, the Beatles are either
whimsical or borderline simplistic, releasing songs that don’t seem
sophisticated or heavy or monumental (even though most of them are). In
that sense, they’re all like “All You Need Is Love” or childhood
memories or Lewis Carroll– easy to love, fit for all ages, rich in
multi-textual details, deceptively trippy (see Paul’s “Penny Lane” in
particular, with images of it raining despite blue skies, or the songs
here that revel in contradictions– “Hello Goodbye”‘s title, the verses
in “All You Need Is Love”). More than any other place in the band’s
catalogue, this is where the group seems to crack open a unique world,
and for many young kids then and since this was their introduction to
music as imagination, or adventure. The rest of the Magical Mystery
Tour LP is the opposite of the middle four tracks on the EP– songs
so universal that, like “Yellow Submarine”, they are practically
implanted in your brain from birth. Seemingly innocent, completely
soaked through with humor and fantasy, Magical Mystery Tour slots
in my mind almost closer to the original Willy Wonka or The
Wizard of Oz as it does other Beatles records or even other music–
timeless entertainment crafted with a childlike curiosity and appeal but
filled with wit and wonder.
On the whole, Magical Mystery Tour is quietly one of the most
rewarding listens in the Beatles’ career. True, it doesn’t represent
some sort of forward momentum or clear new idea– largely in part
because it wasn’t conceived as an album. The accompanying pieces on the
EP are anomalies in the Beatles oeuvre but they aren’t statements per
se, or indications that the group is in any sort of transition. But if
there was ever a moment in the Beatles’ lifetime that listeners would
have been happy to have the group just settle in and release songs as
soon as possible, it was just before and after the then-interminable
10-month gap between the Revolver and Sgt. Pepper’s.
Without that context, the results could seem slight– a sort-of
canonized version of Past Masters perhaps– but whether it’s an
album, a collection of separate pieces, or whatnot matters little when
the music itself is so incredible.
The Beatles thirteenth official E.P.
In the U.K. the “Magical Mystery Tour” soundtrack was released as a
special double E.P. package. It contained two 3 track
E.P.’s and was advertised as being complete with; “A 32 page full colour
book packed with exclusive pictures, a strip
cartoon of the original story, plus the words to the songs in the show
!”
It’s original cost was 19s 6d (19 shillings and sixpence … which was
just short of One Pound Sterling).
The eagerly anticipated release, had advance orders in Britain of
over 400,000, and by mid-January 1968 had sold 600,000, so
not surprisingly it did very well in the National chart.
It immediately entered the singles chart, and shot to No.2 … being
kept off the top slot by “Hello Goodbye”. In fact, in
Britain’s top music weekly newspaper, the Melody Maker, it DID reach
number 1 … knocking “Hello Goodbye” off the top
for one week from 13th January 1968. Clearly the E.P. set would have
topped the E.P. chart, but this had actually been
abandoned as a separate chart just 6 days before it’s release !
Musically, the most interesting fact is that it included the Beatles
first instrumental, “Flying”. Which was also the first
track to list all four names as joint writers. “Magical Mystery Tour”
was also the first Beatle E.P. to be issued in Mono
AND stereo, and the mono version is now deleted.
First pressings had around the edge of the label, the words stating
the rights of the publishers starting with
“The Gramophone Co. Ltd.” and across the press-out centre the words,
“sold in U.K. subject to resale price conditions, see
price lists” are present. It had a gatefold picture sleeve, with a full
booklet, and a blue lyric sheet. The singles were
housed in white inner sleeves.
Re-pressings were made in the early 1970’s, with the only difference
being , no “Sold in the U.K. …”.
And a further pressing was made in 1973, which added a boxed EMI logo,
and it had a yellow lyric sheet !
La title track del terzo, discusso film dei Beatles è l’unica a non
essere stata pubblicata come singolo, a differenza delle precedenti A
Hard Day’s Night ed Help!
e della successiva Let
It Be. Questo importante elemento dà già una chiara indicazione del
fatto che Magical Mystery Tour non sia tanto una canzone quanto
un’ouverture appositamente studiata, e al tempo stesso introduce le
anomalie di questo progetto (un breve film per la TV anzichè un
normale lungometraggio per il cinema, accompagnato da un EP anzichè un
album) rispetto ai precedenti film del gruppo.
Durante un
viaggio in America, McCartney era rimasto impressionato dall’autobus
dipinto a colori e disegni psichedelici dei Merry Pranksters,
un gruppo di hippies che si era raccolto in California, a partire dal
1964, attorno alla figura dello scrittore Ken Kesey
(autore tra l’altro di Qualcuno volò sul nido del cuculo).
Incrociando questa scoperta con il ricordo dei Mystery Tour della sua
infanzia, concepì una canzone che, come la precedente Sgt.
Pepper’s Lonely Hearts Club Band (anch’essa ispirata alla
creatività degli hippies americani) poteva diventare il filo
conduttore del prossimo progetto dei Beatles.
“John
e io ci ricordavamo di questi viaggi del mistero, e pensavamo che
fossero un’idea affascinante: partire in autobus senza sapere dove si
sarebbe andati. Romantico e anche piuttosto surreale! viaggi in autobus
in cui si partiva e si tornava in giornata, senza sapere dove si era
diretti. […] Normalmente si finiva per bere e cantare un sacco di
canzoni. […] Così abbiamo usato questo spunnto come base per la
canzone e per il film“, disse McCartney a Barry Miles.
Nel
corso del volo di ritorno in patria, Paul abbozzò uno spunto
approssimativo della canzone, basato sul concetto da “imbonitore”
che da un lato gli era stato ispirato dall’altro ricordo
d’infanzia del circo, che lo affascinava con le sue stranezze
(“la donna barbuta, la pecora con cinque gambe“, raccontò
sempre a Miles), dall’altro era una costante della produzione di
Lennon/McCartney: confrontare i “Roll up” di Magical Mystery Tour con
gli analoghi inviti di Doctor
Robert o Sgt.
Pepper’s Lonely Hearts Club Band.
Portata in studio in
forma ancora embrionale quando l’album Sgt.
Pepper’s Lonely Hearts Club Band era stato appena concluso e non
ancora pubblicato, fu completata in fretta e, a quanto pare, con
l’attiva collaborazione di tutti e 4 i Beatles. Tonalmente
ambigua, la canzone si apre con un’introduzione di 6 battute in Mi
Maggiore, prima di passare a una strofa di 16 battute composta da 4
ripetizioni della stessa frase di 4 battute. Questa soluzione è
atipica per McCartney e sembra suggerire la mano di Lennon o la
composizione in studio; d’altra parte, l’imprevisto Sol Maggiore della
terza battuta sembra un tipico tratto della disinvoltura armonica di
Paul.
Il ritornello, che comporta anche una brusca variazione
di tempo, modula alla tonalità di Re Maggiore (anticipata in qualche
modo dal Sol Maggiore presente nella strofa). A complicare ulteriormente
le cose, dopo una ripetizione, segue uno strano bridge
strumentale di 10 battute di nuovo in Mi Maggiore, complesso
armonicamente e caratterizzato da insistiti ritmi interni,
a sua volta seguito da un’ultima strofa eseguita a tempo inferiore. Due
ritornelli finali e una coda che riprende il tono dell’intermezzo
strumentale chiudono questo efficace brano d’atmosfera.
La session
per le sovraincisioni di fiati fu così disorganizzata che uno
dei musicisti, spazientito, scrisse di proprio pugno un’idea per
l’arrangiamento che, rapidamente sviluppata da McCartney e George
Martin, divenne quella definitiva.
Nonostante ciò, il pezzo è
musicalmente valido e adatto allo scopo, e può reggere il
confronto, in termini di creatività ed efficacia, con l’analogamente
funzionale apertura che Sgt.
Pepper’s Lonely Hearts Club Band fornisce all’omonimo album. Meno
riuscita è la parte testuale: mentre Sgt. Pepper’s suscita una
transgenerazionale simpatia, Magical Mystery Tour, nonostante
il doppio livello di lettura, risulta deludente ad entrambi i propri
target.
Come argomentò McCartney, l’aggettivo “magico”
fu aggiunto al viaggio del mistero per creare l’impressione di qualcosa
di più surreale, mentre i riferimenti a “take you away“, “dying
to take you” e il viaggio in generale sarebbero allusioni
alla droga, che permettevano alle “persone ordinarie”
(McCartney dixit) di prendere il tour come una semplice ma spensierata
gita in autobus. Gli altri avrebbero colto il riferimento ai viaggi a
base di LSD.
Il fiasco di Magical Mystery Tour viene
solitamente ascritto al film piuttosto che all’EP. Ciò è vero, ma
limitante. Magical Mystery Tour mostrò soprattutto che i Beatles
non erano infallibili, e la loro capacità di anticipare sempre
i tempi sembrò momentaneamente svanita. Anche se in realtà ciò è dovuto
al fatto che tra la composizione e la pubblicazione della canzone erano
passati 8 mesi (durante i quali le posizioni degli hippies
stavano rapidamente cambiando, vedere Revolution
1), la verità è soprattutto che la generazione che
raccoglieva il maggior numero di acquirenti di dischi stava perdendo
compattezza, e non accettava più di identificarsi sotto un
unico denominatore. Così, per gli hippies radicali, l’intero progetto di
Magical Mystery Tour era frivolo, per coloro che ancora vivevano nella
Summer Of Love di cattivo gusto, mentre i fans storici non perdonarono
ai Beatles la totale assenza di canzoni d’amore.
Queste ed
altre critiche sono in larga misura corrette, e si spiegano facilmente
con gli abusi di droga da parte dei Beatles (Lennon in
particolare era ormai quasi un relitto), e il viaggio in India fu per
loro una preziosa occasione di salvezza. Sfortunatamente, altri
fattori avrebbero presto destabilizzato la loro unione e
compromesso la riuscita dei successivi progetti.
“Magical mistery tour” è un disco splendido…
per forza! Mi spiego : esso compare nella
discografia
ufficiale degli albums, ma in realtà non
fu concepito come tale. Alcune canzoni
facevano
da colonna sonora al loro film omonimo, in
cui si
descriveva di un demenziale viaggio in
pullman,
scontata metafora di un allucinato trip
lisergico,
ma grande documento testimone del culmine
dell’era
psichedelica; tra queste spicca la stessa
“Magical
mistery tour”, freschissima e gioiosa, la
cupa “Blue
Jay Way”, ulteriore conferma delle ottime
doti compositive
del sempre un po’ ghettizzato Harrison e
la solita
irresistibile marcetta di McCartney, “Your
mother
should know”. Gli altri pezzi presenti
sono proprio
quelli che rendono “Magical…” una raccolta
imperdibile,
contenente infatti tutti i 45 giri
pubblicati durante
l’anno di grazia 1967… Guardatevi un po’ i
titoli
e capirete che manciata di capolavori
avete davanti
e nel caso fortuito non li aveste mai
ascoltati,
“Strawberry fields forever” e “Penny Lane”
(edite
nello stesso 45 ed ambedue così belle da
recare sulla propria facciata un eloquente
“Side
A”), “I am the walrus”, “Hello goodbye”,
“The fool
on the hill” potrebbero farvi scoprire il
vostro
personale Santo Graal.
Dopo Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, McCartney
decide di voler creare un nuovo film dei Beatles. Il film in origine
doveva essere di tipo semi-documentaristico: varie persone (tra cui lo
zio di Lennon, Charlie) vennero ingaggiate per girarlo e vennero fatte
viaggiare su un autobus multicolore, in pieno giorno, per le strade di
Liverpool. Il progetto venne alla fine completato, ma venne abbandonata
l’idea del documentario; durante le riprese, un numero sempre maggiore
di persone e automobili seguirono, o si arrampicarono, sul pullmann al
fine di vedere le persone e gli idoli che vi erano dentro, causando non
pochi problemi di ordine pubblico. Lo spettacolo terminò con l’ira di
Lennon, che strappò dal pullmann la scritta Magical Mystery Tour.
I Beatles decisero quindi di salvare il salvabile delle riprese
cittadine, e si spostarono in aperta autostrada e campagna per
completare il film.
Magical Mystery Tour nacque subito dopo la morte dello storico manager del gruppo, Brian Epstein
(agosto del 1967) e vi furono molte speculazioni da parte dei critici
su come la sua scomparsa avesse condizionato la qualità del film. Il
film non fu in effetti accolto positivamente dalla critica né dal
pubblico, anche se in seguito è stato in parte rivalutato; Steven Spielberg, per esempio, ha recentemente espresso commenti molto positivi su di esso.
L’album
La colonna sonora fu pubblicata negli Stati Uniti come LP (nel
novembre del 1967) e in Gran Bretagna come doppio EP (dicembre). Al
contrario del film, l’album ebbe un grande successo. Fu nominato al Grammy Award come miglior album nel 1968,
e salì nelle prime posizioni delle classifiche di vendita di gran parte
del mondo (negli USA restò in prima posizione per 8 settimane
consecutive). Fu però anche l’ultimo album realizzato prima
dell’insorgere dei dissidi che di lì a qualche anno avrebbero portato
allo scioglimento del gruppo.
L’album Magical Mistery Tour è diviso in due parti: la prima contiene la colonna sonora del film, mentre la seconda è una raccolta di singoli.
Prima parte
La prima parte dell’album include numerosi brani celebri, fra cui la title track e il brano immediatamente successivo, The Fool on the Hill di McCartney, dedicata al Maharishi. Flying
è uno dei rarissimi pezzi strumentali della discografia dei Beatles,
oltre a essere l’unico firmato da tutti e quattro i membri del gruppo. Blue Jay Way è un brano melanconico, quasi ossessivo, di Harrison, che fa da contrasto con la melodia spensierata del successivo Your Mother Should Know (McCartney). Probabilmente il pezzo più famoso e apprezzato di questo gruppo di brani è I Am the Walrus di John Lennon, uno dei pezzi più d’avanguardia dei Beatles: vicino alle atmosfere del futuro acid rock,
fu registato con una piccola orchestra e la voce distorta e doppiata di
Lennon. Il testo è un susseguirsi di immagini psichedeliche e passaggi nonsense alla Lewis Carroll.
Seconda parte
Le canzoni sul lato due erano singoli del periodo non presenti su album. Per mantenere puntuale il rilascio dell’opera, la Capitol Records
utilizzò un simulatore di impianto stereo su nastri monofonici nelle
ultimi tre canzoni, invece di aspettare i nastri stereo. Questa scelta
insolita rappresentò un elemento di innovazione e sperimentazione
nell’industria discografica.
Fra i brani più celebri di questo gruppo di brani ce ne sono due notoriamente autobiografici, rispettivamente Strawberry Fields Forever di Lennon e Penny Lane di McCartney. I due brani furono pubblicati in un unico singolo, il primo dotato di “due lati A”.
Le altre canzoni del lato due comprendono Hello Goodbye (utilizzata anche per i titoli di coda del film), Baby You’re a Rich Man (in seguito riutilizzata nell’album Yellow Submarine) e All You Need Is Love, probabilmente uno dei brani più famosi della discografia dei Beatles. Il brano, trasmesso in diretta mondiale il 25 giugno 1967, può essere letto come l’inizio dell’impegno pacifista di John Lennon, e divenne poi uno degli inni della Summer of Love del 1967 e della filosofia hippy.
Beatles sono la più famosa rock band di tutti i tempi. La portata della
loro vicenda travalica i confini strettamente musicali, condizionando
mode, costumi e comportamenti non solo degli anni ’60: la loro
influenza si estende anche nei decenni a seguire, se si considera che a
tutt’oggi la loro esperienza costituisce un modello imprescindibile e
insuperato per intere generazioni di musicisti. Nell’arco di
una carriera discografica relativamente breve (7 anni, dal 1963 al
1970), i quattro Fab Four incidono moltissimo materiale, grazie alla
creatività debordante della coppia di autori Lennon-McCartney, autori,
tra l’altro, anche di uno dei primi singoli dei loro futuri rivali Rolling Stones
(“I Wanna Be Your Man”). Partendo da una forma primordiale di
rock’n’roll ispirato al blues e al rhythm&blues, The Beatles
plasmano l’evoluzione stessa del rock, sviluppando uno stile eclettico
e viscerale, e portandolo, per la prima volta, a livello di fenomeno di
massa.
Nella Liverpool di metà anni ’50 il chitarrista teenager John Winston Lennon
(1940, Liverpool, Gran Bretagna – 1980, New York City, Stati Uniti)
forma nel liceo locale i Quarry Men, il suo primo gruppetto di
rock&roll. Intorno alla metà del 1957 si aggiunge un altro
chitarrista, James “Paul” McCartney (1942, Liverpool, Gran Bretagna) e, poco dopo, arriva anche George Harrison
(1943, Liverpool, Gran Bretagna), un terzo chitarrista amico di
McCartney. Il gruppo arriva ad essere anche un quintetto, ma alla fine
dei ’60 la formazione si riduce nuovamente al trio Lennon, McCartney e
Harrison (nel 1959 partecipano a una trasmissione televisiva con il
nome Johnny & The Moondogs).
Con gli ingressi del bassista Stuart Sutcliffe (nome d’arte di
Stuart Fergusson Victor Sutcliffe, 1940, Edimburgo, Scozia – 1962,
Amburgo, Germania), compagno di college di Lennon, e del batterista
Pete Best (1941, Madras, India) nell’estate 1960 il gruppo (ora
ridenominato Silver Beatles) trova un ingaggio di alcuni mesi in
Germania, nei club del quartiere a luci rosse di Amburgo. L’esperienza
si rivela massacrante (concerti estenuanti e condizioni di vita
misere), ma contribuisce ad affinare l’affiatamento del gruppo. Potendo
contare sul supporto vocale di tutti e tre i chitarristi e su un
repertorio composto da brani di Buddy Holly, Ray Charles, Fats Domino e
vari standard ballabili dell’epoca, i Beatles (questo il nome
definitivo) si fanno apprezzare in energiche performance amburghesi.
Tornati a Liverpool nel 1961, si costruiscono un consistente
seguito locale grazie a una serie di esibizioni nel Merseyside (in quel
periodo rigoglioso di gruppi beat), in particolare presso il Cavern
Club. Dopo l’abbandono di Sutcliffe per motivi di studio nel 1961
(l’anno dopo, il 10 aprile morirà improvvisamente per una emorragia
cerebrale) McCartney passa al basso e il gruppo torna ad Amburgo, dove
diventa la backing band fissa di Tony Sheridan, un cantante di punta
della scena beat, con il quale incide “My Bonnie” (lato B: “The
Saints”), un 45 giri a nome Tony Sheridan and the Beat Boys che
riscuote un modesto successo solo nelle classifiche locali tedesche.
Verso la fine del 1961 la grande popolarità raggiunta dai Beatles
nell’area di Liverpool spinge il gestore di un negozio di dischi Brian
Epstein (1934, Liverpool, Gran Bretagna – 1967, Londra, Gran Bretagna)
a diventarne il manager e procurare loro un infruttuoso provino per
l’etichetta discografica Decca. La perseveranza di Epstein permette di
ottenere un’ulteriore audizione alla Parlophone, dove il produttore e
arrangiatore George Martin (1926, Londra, Gran Bretagna) decide di
metterli sotto contratto, suggerendo un cambio di batterista. Scaricato
Pete Best e arruolato Ringo Starr (nome d’arte di Richard
Starkey, 1940, Liverpool, Gran Bretagna), proveniente da un’altra
popolare band del Merseybeat di nome Rory Storme And The Hurricanes,
l’11 settembre 1962 The Beatles pubblicano il loro primo 45 giri “Love
Me Do” (lato B: “P.S. I Love You”). Entrambi i brani sono a firma
Lennon-McCartney e inaugurano quella partnership prolifica e ispirata
che darà alla luce la maggior parte delle composizioni del gruppo.
Nonostante il successo locale del singolo, è solo con il successivo
“Please Please Me” che i Beatles schizzano in testa alla hit parade
inglese agli inizi del 1963: il brano li impone come i nuovi fenomeni
della musica giovanile, grazie alla melodia orecchiabile, alle chitarre
incisive e alle armonie vocali accattivanti. Anche il successivo “From
Me To You” ha le stesse caratteristiche, bissando il successo di
classifica e spianando la strada al primo album Please Please Me
(pubblicato il 22 marzo 1963), registrato l’11 febbraio 1963 in una
sessione di appena 10 ore e destinato a rimanere al primo posto della
chart inglese per ben 30 settimane.
Sia i successivi singoli “She Loves You” e “I Want To Hold Your Hand”, sia il secondo Lp With The Beatles
(pubblicato il 22 novembre 1963) contribuiscono, già in quell’anno, a
imporre i Beatles come il più importante gruppo di rock&roll mai
apparso nel Regno Unito e a gettare le prime basi della cosiddetta
“Beatlemania”, in virtù dei veri e propri fenomeni di isteria
collettiva che divampano a ogni apparizione del quartetto e alla
pubblicazione di ogni loro nuovo disco. Alla base di tale successo c’è
la capacità del gruppo di riappropriarsi in modo assolutamente
originale dei migliori elementi del pop e del rock, sia attraverso la
rivisitazione del genuino rock and roll di Elvis Presley, Buddy Holly,
Chuck Berry, Little Richard, sia con la forza dirompente delle canzoni
a firma Lennon-McCartney.
Inizialmente l’etichetta Capitol si rifiuta di distribuire i dischi
dei Beatles negli Stati Uniti, ma il tentativo effettuato con la
pubblicazione del singolo “I Want To Hold Your Hand” (subito schizzato
in testa alle hit parade) e l’apparizione televisiva del quartetto
all’Ed Sullivan Show avvenuta il 9 e 16 febbraio 1964 si rivelano un
successo clamoroso, lanciando irresistibilmente la Beatlemania e il
fenomeno della cosiddetta British Invasion anche negli Stati Uniti, con
effetti perfino più esaltanti di quelli registrati in patria. Nella
classifica di Billboard del 31 marzo 1964 sono presenti 4 brani dei
Beatles nei primi 5 posti e ben altri 7 nella Top 100. Tra il 1964 e il
1965 i Beatles sono impegnati in estenuanti tournée che raccolgono
entusiastiche folle di spettatori (nella maggior parte dei concerti le
urla del pubblico sono talmente assordanti da coprire totalmente il
suono degli strumenti proveniente dagli amplificatori), registrano
singoli di strepitoso successo e realizzano addirittura un paio di
opere cinematografiche come protagonisti (“A Hard Day’s Night” e
“Help!”, entrambe dirette da Richard Lester).
La loro popolarità è ormai enorme e le pellicole fungono da straordinari veicoli promozionali per gli omonimi album A Hard Day’s Night (10 luglio 1964) e Help!
(6 agosto 1965), nonché dei nuovi hit “And I Love Her”, “A Hard Day’s
Night”, “Can’t Buy Me Love”, “Things We Said Today”, “Help!”, “Ticket
To Ride” e la stupenda “Yesterday”. Sono film che rappresentano una
sorta di spaccato giovanile dell’epoca e le colonne sonore impongono
definitivamente Lennon-McCartney come autori (in quel periodo raramente
le composizioni sono elaborate a 4 mani: per contratto e per reciproca
intesa, le canzoni composte singolarmente dai due artisti vengono in
seguito firmate dal duo).
Tra un impegno e l’altro, il gruppo trova anche il tempo di assemblare Beatles For Sale
(4 dicembre 1964), album ritenuto meno brillante dei precedenti, ma
comunque un successo (e un ritorno alla formula dei primi 2 album: 8
brani originali e 6 cover).
Il 1965 è un anno cruciale: se da un lato il film “Help!” denota
una leggerezza al limite della stupidità, dall’altro canzoni come
“Yesterday”, la stessa “Help!”, “Ticket To Ride” e il singolo “I Feel
Fine” (lato B: “She’s A Woman”) denotano la volontà del gruppo di far
evolvere il proprio sound verso territori musicalmente più complessi e
con testi di maggior spessore. Esaltanti concerti in tutto il mondo
(Italia compresa, come dimostra, per esempio, l’esibizione del 27
giugno 1965 al Teatro Adriano di Roma) accompagnano il trionfo dei “Fab
Four” (il 15 agosto 1965 suonano allo Shea Stadium di New York davanti
a 55.600 fan scatenati: per l’epoca, una folla da record). Nel giugno
dello stesso anno vengono perfino ricevuti a Buckingham Palace e
insigniti dalla regina Elisabetta dell’Mbe (Member of the Order of the
British Empire), l’alta onorificenza britannica che vale loro il
prestigioso titolo di baronetti. Come ogni vicenda legata ai Beatles,
l’episodio, amplificato a dismisura dai media, suscita scalpore,
scatenando polemiche e discussioni (alcuni anziani membri dell’Mbe
restituiscono le loro medaglie in segno di protesta).
Una volta battuti tutti i record commerciali e di popolarità, i
Beatles decidono di continuare la propria sfida sul piano prettamente
artistico: le nuove direzioni musicali e poetiche sono evidenti già
alla fine del 1965 quando escono in contemporanea l’album Rubber Soul
(3 dicembre 1965), considerato uno dei dischi più importanti della
musica rock, e il singolo “Day Tripper” (lato B: “We Can Work It Out”),
due brani non inclusi nell’Lp. L’album è il primo concepito come tale
(e non come raccolta di singoli di successo), le canzoni si
arricchiscono di testi più introspettivi (“Nowhere Man”) e talora più
incisivi (“Drive My Car”), la musica si apre a nuove influenze (l’uso
del sitar in “Norwegian Wood”) e il quartetto inizia a utilizzare le
nuove tecnologie di incisione multitraccia, sperimentando sonorità
inedite e intrecci chitarristici inusuali.
Il percorso evolutivo continua con il successivo 45 giri “Paperback
Writer” (lato B: “Rain”) dell’aprile 1966, con cui i Beatles
abbandonano i temi romantici a favore di parole e suoni tratti
dall’immaginario psichedelico. Con la musica, cambia anche il loro
aspetto: le divise e l’ordinata pettinatura “a caschetto” degli esordi
spariscono lasciando spazio a barbe incolte e lunghe chiome, vestiti
sgargianti e atteggiamenti eccentrici, che in breve attirano le
critiche dei benpensanti. In questo periodo le sostanze psichedeliche
alimentano la già fertile immaginazione del gruppo che ora può contare
anche sull’apporto compositivo di George Harrison.
Revolver (5 agosto 1966) è un album vario e articolato che
fa registrare i nuovi traguardi raggiunti in studio: “Tomorrow Never
Knows” regala sonorità rivoluzionarie (ottenute ascoltando nastri
riprodotti al contrario), “Eleanor Rigby” è eseguita con un quartetto
d’archi, “Got To Get You Into My Life” gioca sapientemente con il
rhythm’n’blues, “Love To You” rispecchia le passioni orientaleggianti
di Harrison, “I’m Only Sleeping” le inquietudini di Lennon e “Here,
There And Everywhere” la miglior vena melodica di McCartney. Anche
Ringo Starr ha il suo momento di gloria alla voce solista (ma non è la
prima volta) con la filastrocca per bambini “Yellow Submarine”,
appositamente confezionata per lui da Lennon-McCartney.
Nell’estate del 1966, una frase pronunciata da John Lennon durante
una conferenza stampa (“Siamo più famosi di Gesù Cristo”) suscita un
vespaio di polemiche specialmente negli Stati Uniti dove, in risposta
all’avventata affermazione, si organizzano manifestazioni anti-Beatles
(con tanto di rogo dei loro dischi) in concomitanza con la movimentata
tournée della formazione. La frenetica attività live si chiude
definitivamente al Candlestick Park di San Francisco (29 agosto 1966)
dove i Beatles, ormai non più disposti a suonare in assordanti arene
gremite di fan impazziti, si esibiscono per l’ultima volta davanti a un
pubblico pagante. La scelta è quella di dedicarsi con maggior impegno e
concentrazione al lavoro in studio, anche se per i restanti mesi del
1966 i quattro musicisti si prendono una pausa (la prima in quasi 7
anni), durante la quale ognuno si dedica a progetti personali e alla
scrittura di nuovo materiale. L’apparizione del singolo “Penny Lane”
(lato B: “Strawberry Fields Forever”) nel febbraio 1967 mostra
l’ingresso in grande stile nei territori del rock psichedelico
attraverso l’impiego di sofisticati arrangiamenti orchestrali e del
mellotron: i testi si arricchiscono di riferimenti reali e citazioni
nonsense, ma le melodie mantengono il loro innato appeal presso il
grande pubblico, ben disposto ad accogliere con immutato entusiasmo la
nuova svolta dei propri beniamini.
È comunque con l’uscita dell’epocale Sgt. Pepper’s Lonely Heart’s Club Band
(1 giugno 1967) che i Beatles sigillano “l’estate dell’amore” con
l’opera definitiva dell’era psichedelica. Il disco è destinato a
diventare un simbolo: dalla coloratissima copertina alla musica, dai
testi visionari agli ambigui riferimenti (più o meno volontari) alla
nuova cultura giovanile (in molti leggono un invito all’Lsd nelle
iniziali di “Lucy In The Sky With Diamonds” e le presunte allusioni
alla droga vengono rinforzate dall’ambiguità di un’espressione come
“Fixing A Hole”). Sgt. Pepper’s Lonely Heart’s Club Band è un
concept album che si snoda senza soluzione di continuità dalla bizzarra
fiction della “Banda dei cuori solitari” (e di “Being For Benefit Of
Mr. Kite”) all’incredibile crescendo orchestrale che chiude la
magnifica “A Day In The Life”. Indimenticabile ogni episodio di questo
LP, in cui convivono tentazioni indiane (“Within You Without You”),
durezze chitarristiche (la title track che si stempera nella solare
“With A Little Help From My Friends” cantata da Ringo Starr), melodie
malinconiche (“She’s Leaving Home”) e ardite architetture pop (“Lovely
Rita”, “Good Morning”), condite con soluzioni elettroniche
d’avanguardia. Quello che la critica dell’epoca definisce un patchwork,
la cui unitarietà viene restituita concettualmente solo da un impiego
brillante delle sovraincisioni e dai testi fiabeschi, rimane tutt’oggi
un magnifico, caleidoscopico manifesto di rock psichedelico, il più
grande trionfo della musica pop e il passo definitivo di questa verso
la conquista dello stato di arte a tutti gli effetti.
Forse anche per sfuggire al clamore suscitato dalla pubblicazione
di tale disco, i Beatles si recano in India presso il guru Maharishi
Mahesh Yogi (divenuto per una breve stagione il loro “padre
spirituale”), con il quale praticano meditazione e si dedicano a una
tranquilla vita in armonia. A Londra, il 27 agosto 1967 muore (per
overdose di tranquillanti) il manager Brian Epstein, figura
fondamentale per l’equilibrio interno del gruppo, nonché amico intimo
dei quattro e co-artefice delle scelte strategiche responsabili del
successo mondiale della band.
Da questo momento in poi, la stabilità del gruppo diventa sempre
più precaria: il film-Tv “Magical Mystery Tour” (una sorta di lungo
videoclip prodotto e girato da loro stessi) viene aspramente affossato
dalla critica quando appare (il 26 dicembre 1967) sugli schermi della
Bbc. Sul mercato americano viene anche pubblicato, il 27 novembre 1967,
l’omonimo album-colonna sonora contenente, tra gli altri, il singolo
“Hello, Goodbye” (lato B: “I Am The Walrus”) e la struggente ballata
“Fool On The Hill”. Quando appaiono in mondovisione (nel programma Our
World) per eseguire in prima assoluta il loro inno hippie “All You Need
Is Love” sono i verosimili portavoce di una generazione: con il 1968
alle porte, il gruppo sembra perdere la propria proverbiale granitica
coesione.
Il monumentale doppio album The Beatles (22 novembre 1968, noto anche come The White Album
) non fa che rafforzare ulteriormente questa sensazione: Lennon appare
come il rocker più sarcastico, McCartney l’anima più romantica,
Harrison il mistico menestrello e Starr la macchietta naïf. Il
bianco dell’austera copertina del disco fa da contraltare non solo al
multiforme cromatismo del suo predecessore, ma anche alla gran varietà
di idee e all’eclettismo di stili che emergono dalle 30 canzoni
dell’album. Il disco segna anche il ritorno verso un rock
chitarristico, ora visceralmente elettrico (“Helter Skelter”, “Back In
The U.S.S.R.”), ora più acustico e bucolico (“Piggies”, “Julia”, la
splendida “Blackbird”), ma sono anche riconoscibili profonde venature
di blues (“Yer Blues”) e di folk (“Rocky Raccoon”), piccoli adorabili
quadretti fuori dal tempo (“Good Night”, “Mother Nature’ Son”), innocue
filastrocche nonsense (“Ob-La-Di, Ob-La-Da”) e, come sempre, la
straordinaria capacità di partorire canzoni memorabili del calibro di
“While My Guitar Gently Weeps” (il capolavoro di Harrison), “I’m So
Tired”, “Happiness Is A Warm Gun” e “Dear Prudence” (reinterpretata poi
in chiave dark da Siouxsie and The Banshees, così come “Helter Skelter”).
Appare tuttavia evidente che l’album non si ciba degli umori di un
gruppo unito, bensì di quelli dei suoi singoli componenti: la maggior
parte delle canzoni sono messe a punto autonomamente dai quattro
artisti e ognuno di essi impiega i compagni come session men. A
distanza di anni, si verrà anche a sapere che Starr abbandonò
addirittura il gruppo per un paio di settimane durante la lavorazione
perché si sentiva “inutile”. Le forze centrifughe (tra cui vanno
annoverate anche il matrimonio di McCartney con la fotografa Linda
Eastman e l’unione di Lennon con l’artista d’avanguardia giapponese
Yoko Ono) allontanano progressivamente i quattro musicisti e sono
destinate ad aumentare sensibilmente con la costituzione della Apple
Corps Ltd., una società creata nel gennaio 1968 per soddisfare
utopisticamente le esigenze più disparate (dischi, abbigliamento,
editoria) e naufragata in breve tempo in un disastro organizzativo e
finanziario. Per una ramificazione importante della società, quella
creata per agire in campo discografico e denominata Apple Records,
incidono anche James Taylor, Mary Hopkins e Badfinger. Nonostante ciò,
la musica del quartetto viaggia ancora su livelli qualitativi
eccellenti e riprova ne è lo strepitoso singolo (pubblicato nell’agosto
1968) contenente “Hey Jude”, a firma McCartney e, sul lato B,
“Revolution”, potente “inno” di Lennon: il 45 giri vende 6 milioni di
copie in poco più di 4 mesi e diventa il singolo più popolare della
formazione.
Ma quando il gruppo si ritrova all’inizio del 1969 per incidere un
nuovo album, le condizioni non paiono delle migliori: McCartney insiste
affinché i Beatles suonino nuovamente dal vivo e convince gli altri
della necessità di un “ritorno alle radici” attraverso la realizzazione
di un album in studio “in presa diretta”. Harrison porta con sé il
tastierista Billy Preston per arricchire gli arrangiamenti e alleviare
la tensione, ma le sedute non sono particolarmente fruttuose sia per le
continue scaramucce tra i quattro, sia per la poco conciliante presenza
delle macchine da presa ingaggiate per immortalare l’evento. Il 30
gennaio 1969 il gruppo piazza gli strumenti sul tetto della sede della
Apple a Londra e tiene un concerto estemporaneo solo per le telecamere.
L’esibizione viene interrotta dalla polizia perché il traffico
sottostante va completamente in tilt. È l’ultima esibizione del gruppo.
Non soddisfatti dei risultati di queste incisioni (che l’anno
seguente saranno affidate al produttore Phil Spector e dalle quali
verranno tratti l’album Let It Be, pubblicato l’8 maggio 1970, e
l’omonimo film diretto da Michael Lindsay-Hogg), nell’aprile 1969 i
Beatles estraggono da quelle sedute anche il singolo “Get Back” (lato
B: “Don’t Let Me Down”).
Nel frattempo, il 13 gennaio 1969, esce anche la colonna sonora di
“Yellow Submarine”, un variopinto film d’animazione (diretto da Dick
Emery e George Dunning, su disegni dell’artista tedesco Heinz
Edelmann), basato su alcune canzoni del gruppo (4 delle quali inedite)
di stampo psichedelico.
Mentre si accende una furiosa disputa tra McCartney e gli altri tre
musicisti per l’assunzione di Lee Eastman (suo suocero) in veste di
manager (la spunta, invece, Allan Klein, voluto da Lennon), i quattro
sono sempre più lontani: John Lennon è particolarmente attivo e
allestisce la Plastic Ono Band, con la quale esprime radicali prese di
posizioni pacifiste (celebri i suoi provocatori “bed-in” con Yoko)
arrivando anche a pubblicare per primo del materiale discografico al di
fuori del gruppo (tra cui il celebre singolo “Give Peace A Chance”, del
maggio 1968).
Nell’estate 1969, un ultimo impulsivo desiderio di congedarsi con
un’opera degna della loro fama è forse la molla che fa ritornare i
quattro in studio con il produttore George Martin per approntare Abbey Road
(26 settembre 1969), forse l’album più unitario e omogeneo della loro
carriera (sicuramente quello di maggior successo commerciale),
fortemente caratterizzato dalla ricercatezza di arrangiamenti
strumentali e vocali. La piena maturità compositiva raggiunta da
Harrison è testimoniata da “Something” e “Here Comes The Sun”, i due
brani di maggior successo. Sono presenti anche l’immortale inno
pacifista “Come Together”, l’abrasiva ripetitività di “I Want You
(She’s So Heavy)” e il lungo collage che si dipana sul secondo lato
dell’album, cucendo diversi motivi le cui idee originarie erano state
abbozzate già ai tempi del White Album (“Mean Mr. Mustard”, “Polythene
Pam”). La chiusura non lascia adito a dubbi: è davvero “The End”.
Quando il 10 aprile 1970 McCartney annuncia di aver lasciato i
Beatles, il gruppo in realtà non esiste più da diversi mesi. Tuttavia
la notizia ha un effetto-shock sull’opinione pubblica, ancora
largamente ignara delle frizioni interne che ormai da numerosi mesi
minano la stabilità della band: quando esce il già citato Let It Be
(8 maggio 1970), gli ex membri dei Beatles già si stanno combattendo a
colpi di ingiunzioni legali. L’album è assemblato con i resti delle
sedute del gennaio 1969 e viene fortemente “modellato” (in maniera
maldestra, secondo McCartney, soprattutto a giudicare dalle massicce
sovraincisioni apportate ai suoi capolavori “Let It Be” e “The Long And
Winding Road”) da Phil Spector. Le battaglie legali, le fortunate
(anche se non sempre convincenti) rispettive carriere soliste e le
mutate condizioni dei rapporti personali (specie tra Lennon e
McCartney) fanno naufragare la tanto favoleggiata riunione dei “Fab
Four” per tutto il decennio successivo, anche se il successo di vendita
delle due doppie antologie “rossa” e “blu” (The Beatles 1963-’66 e The Beatles 1967-’70,
pubblicate il 2 aprile 1973) dimostra che, insieme, potrebbero ancora
monopolizzare le classifiche di vendite più di quanto riescano a fare
da solisti.
Ogni speranza di rivedere riuniti i Beatles svanisce
definitivamente l’8 dicembre 1980, quando John Lennon viene assassinato
a New York da un fan psicopatico.
Il 7 marzo 1988 la Emi pubblica in due cd (Past Masters Volume One
& Two) le numerose canzoni apparse solo su 45 giri, e fino alla
metà degli anni ’90 le tracce inedite più interessanti si trovano
esclusivamente su dischi clandestini (detti bootleg) di scarsa qualità
tecnica. Occorre attendere oltre due decenni perché le questioni legali
della Apple vengano appianate e McCartney, Harrison, Starr e la vedova
di Lennon Yoko Ono trovino un accordo per sfruttare il cospicuo
materiale inedito custodito negli archivi: nel 1994 viene pubblicato il
doppio cd Live At The BBC con materiale tratto da trasmissioni
radiofoniche del periodo 1963-1965, mentre tra il 1995 e il 1996 esce
l’opera completa Anthology (tre doppi cd), mirabile operazione
archivistica che finalmente offre gemme per troppi anni rimaste
nascoste al pubblico. Rientra nell’operazione anche la registrazione di
due nuovi brani (“Free As A Bird” e “Real Love”) rielaborati dai tre
superstiti (con l’aiuto di Jeff Lynne) partendo da vecchi provini
casalinghi di Lennon incisi alla fine degli anni Settanta. Il progetto
diventa anche uno splendido film-documentario della durata complessiva
di circa 10 ore (pubblicato in 8 videocassette) la cui versione ridotta
(trasmessa da tutte le televisioni del mondo) riaccende nuovamente la
Beatlemania.
Risulta difficilmente calcolabile la quantità di dischi venduti dai
“Fab Four” (il solo primo volume dell’Anthology realizza 12 milioni di
copie a 25 anni dallo scioglimento del gruppo) e, soprattutto, è
imponderabile l’intensità delle emozioni fornite dai loro pentagrammi.
I Beatles hanno saputo rappresentare (e talora guidare) i sogni di
un’epoca e, ancora oggi, la loro influenza sul mondo musicale è
immensa.
Nel 2003 la Emi ha pubblicato Let It Be… Naked, la riedizione dell’ultimo album dei Beatles senza le parti orchestrali scritte da Phil Spector. Nel 2006 è la volta di Love, raccolta di brani riarrangiati da George Martin.